Il Gallerista
Nel 1991 ero a Los Angeles, ospite di mio fratello Jan nella sua piccola casa accogliente alle pendici delle colline di Hollywood. Come al solito mi sono messo in moto per proporre la mia arte. Le gallerie erano tante, ho preparato un elenco di quelle più interessanti e sono partito alla carica. Dopo tre mesi di tentativi fallimentari qualcuno mi segnala un gallerista che cerca nuovi talenti: un italiano di nome Edoardo Spazzapan, titolare di uno spazio espositivo a Malibu, rinomato centro residenziale affacciato sull'Oceano Pacifico. Io e Jan fissiamo un appuntamento. Arrivati in galleria ci presentiamo e srotoliamo le nostre tele. Spazzapan è molto interessato, anzi, entusiasta; definisce Jan un "espressionista mediterraneo" e me un "moderno El Greco metropolitano". Sorridiamo divertiti ma poco convinti. Ci dice: " Ragazzi, acquisterei all'istante qualcuno dei vostri lavori ma non ho contanti con me, ad ogni modo parteciperete alla mostra collettiva che avrà luogo tra venti giorni in questo spazio". Silenzio. Io e Jan ci guardiamo meravigliati e ci consultiamo: "Mi pare tutto troppo facile e poi lui è un tipo mellifluo e sembra un truffaldino", dice Jan. "Hai ragione, ma dopo tutte le disavventure e i responsi negativi degli ultimi anni finalmente qualcuno è interessato alla nostra pittura: io rischierei." "Va bene." Firmiamo una specie di contratto e lasciamo un quadro a testa per la mostra.
Venti giorni dopo è il grande evento, prendiamo la macchina, imbocchiamo il Santa Monica Boulevard poi la Pacific Coast Highway e arriviamo a Malibu per l'inaugurazione della mostra. La galleria è chiusa, le luci spente; un vicino dice che si è trasferita ma non sa dove. Addio quadri. Spazzapan si è volatilizzato e nemmeno una denuncia alla polizia risolve qualcosa. Dopo più di trent'anni ancora mi chiedo dove possano essere adesso i nostri quadri.
Venti giorni dopo è il grande evento, prendiamo la macchina, imbocchiamo il Santa Monica Boulevard poi la Pacific Coast Highway e arriviamo a Malibu per l'inaugurazione della mostra. La galleria è chiusa, le luci spente; un vicino dice che si è trasferita ma non sa dove. Addio quadri. Spazzapan si è volatilizzato e nemmeno una denuncia alla polizia risolve qualcosa. Dopo più di trent'anni ancora mi chiedo dove possano essere adesso i nostri quadri.
Palloncini colorati
Cena tra artisti a casa di artisti. Bel posto, atmosfera conviviale, cibo discreto. Sono presenti anche due galleristi, una critica d'arte e tre giovani curatrici di mostre. Si chiacchiera piacevolmente. Improvvisamente ho un'idea delle mie. Ricordo che in borsa conservo un mazzetto di foto che qualche ora prima ho pescato di nascosto dal cestino dei rifiuti del mio stampatore di fiducia. Si tratta di scarti e prove di stampa raffiguranti spose e sposi in posa per il fotografo dopo la cerimonia. Immagini per niente sobrie, involontariamente comiche e a volte grottesche. Dico: "Ho qui alcuni dei miei nuovi scatti, volete vederli?" I presenti si mostrano incuriositi e ben disposti a visionare le mie immagini. Per creare l'atmosfera giusta dico: "Attenzione, si tratta di assoluta novità, niente a che vedere con i miei lavori precedenti. Siete le prime persone a cui mostro questo mio più recente ciclo fotografico." Tiro fuori le foto e con studiata lentezza le adagio una ad una sul tavolo. Silenzio. Gli sguardi sono puntati su abbracci in posa, baci appassionati, pose plastiche su Rolls Royce, Colosseo, palloncini colorati, sguardi sognanti o ammiccanti. Tutti i presenti conoscono il mio lavoro e proprio per questo rimangono inebetiti. Qualcuno, imbarazzato, si avventura in qualche commento: "Beh, certo si tratta di materiale non facile, comunque interessante." La giovane critica è lapidaria: "La scelta di fotografare il matrimonio non è certo casuale; è una metafora." Cresce l'interesse. Una curatrice azzarda: "Il fatto che gli sposi non sorridano mai se non forzatamente è indice di qualcosa che non va? La tragedia è imminente? E' il modo di prefigurare la guerra coniugale? Un conflitto che, stando ai fatti più recenti, travalica le mura domestiche e si fa universale?" Sono sinceramente commosso. Mi guardo bene dal rivelare la burla e il vero luogo di provenienza delle foto. Non ho rimorsi, anzi, quasi quasi, se capita, un giorno le espongo pure queste fotografie. Il successo è assicurato.
Disturbing
Los Angeles, 1991. Jan mi fissa un appuntamento con un gallerista di sua conoscenza: è Earl Mc Grath, ex presidente della Rolling Stones Records, l'etichetta discografica del celebre gruppo rock. La sua galleria è nei pressi della Cienega, non troppo distante da casa: venti minuti di macchina e siamo arrivati. Entriamo e ci guardiamo intorno: alle pareti sono appesi, come fossero opere d'arte, alcuni fotogrammi stampati su carta di film porno americani degli anni '80. L'artista (Richard Prince?) in questo caso si è impossessato di immagini realizzate sul set da un oscuro fotografo di scena. Mc Grath osserva le mie foto e dice: "Your pictures are much too disturbing". Le dozzinali foto porno appese alle pareti, una volta post firmate da un accreditato artista concettuale, diventano "arte" e proprio nel loro triste e drammatico vuoto, contrassegnato da squallida e disarmonica oscenità, trovano la propria esile, forzata poetica, e il diritto di essere esposte senza imbarazzo.
Le mie immagini raffigurano un panino contenente una protesi dentaria che stringe una fetta di salame, un uomo in procinto di evirarsi, una donna barbuta intenta a fumare la pipa, un uomo che emerge dalle acque di una piscina tenendo in mano un candelabro. Paradossalmente proprio queste foto, e non quelle porno, sono considerate sgradevoli, anzi, "disturbing" ovvero: imbarazzanti, fastidiose, sconcertanti.
Le mie immagini raffigurano un panino contenente una protesi dentaria che stringe una fetta di salame, un uomo in procinto di evirarsi, una donna barbuta intenta a fumare la pipa, un uomo che emerge dalle acque di una piscina tenendo in mano un candelabro. Paradossalmente proprio queste foto, e non quelle porno, sono considerate sgradevoli, anzi, "disturbing" ovvero: imbarazzanti, fastidiose, sconcertanti.
Tieniti libero
Tanti, ma tanti anni fa ho pensato che le mie foto e le mie idee potessero essere messe al servizio della pubblicità. Ho quindi fissato numerosi appuntamenti con gli art directors delle più svariate agenzie pubblicitarie. Dicevano: "Il settore ha bisogno di novità, siamo sempre pronti a visionare nuove proposte , anche le più strane, anticonformiste e coraggiose. Con la creatività, quella vera, dobbiamo sfidare le convenzioni e i luoghi comuni. Vieni pure, siamo curiosi di vedere il tuo lavoro." Pur non sentendomi un "creativo", termine ridicolo che non significa niente ed è abusato da tutti, andavo agli appuntamenti con vero entusiasmo, aprivo la cartella e spargevo sul tavolo il mio vasto campionario di immagini. Le foto passavano di mano in mano e i visionatori il più delle volte si scambiavano sguardi e sorrisi complici, indicavano i particolari, a volte esclamavano: "Che fantasia sfrenata, proprio quello che cerchiamo. Permettici di fare alcune fotocopie del tuo materiale. Ci riuniremo per analizzarlo e studiarne la possibile utilizzazione. Ti chiamiamo presto, tieniti libero!"
E' passato tanto, tanto tempo e ho smesso di aspettare quella telefonata ma in questi anni ho visto che i creativi non hanno dimenticato il mio lavoro, anzi, lo hanno simpaticamente valorizzato. Chissà che giri strani hanno fatto quelle famose fotocopie: più di una volta ho avuto il sospetto e a volte la certezza di essere stato plagiato.
E' passato tanto, tanto tempo e ho smesso di aspettare quella telefonata ma in questi anni ho visto che i creativi non hanno dimenticato il mio lavoro, anzi, lo hanno simpaticamente valorizzato. Chissà che giri strani hanno fatto quelle famose fotocopie: più di una volta ho avuto il sospetto e a volte la certezza di essere stato plagiato.
Sulla luna
Giorni fa mia madre ha tradotto dall’olandese quello che tanti anni fa aveva scritto sul suo diario. Sulla pagina del 15 ottobre 1969 si legge: “Pino alle 16.30 è venuto a prendere David di sette anni e mezzo e Jan di quattro per portarli con sè negli studi RAI di via Teulada (io sono rimasta a casa con Sigrid di un anno). Erano ospiti in studio i tre astronauti Neil Armstrong, Buzz Aldrin e Michael Collins che venivano intervistati sul loro epico viaggio terra-luna. Il mondo intero aveva da poco seguito con trepidazione lo sbarco sulla luna: era il 20 luglio del 1969 e Armstrong, comandante dell'Apollo 11, mettendo piede sulla luna e collegandosi con la centrale della Nasa a Houston, ha pronunciato le memorabili parole: "Questo è un piccolo passo per l’uomo, ma un grande passo per l'umanità." Erano tanti i personaggi importanti che finita l'intervista televisiva si intrattenevano con i tre eroi. Pino si è fatto strada tra la folla tenendo per mano i suoi bambini e una volta davanti agli astronauti glieli ha presentati. Neil Armstrong ha sorriso ai bimbi, gli ha carezzato la testa, ha stretto loro la mano e ha detto: "Hi David, hello Jan."
David, a distanza di anni, si ricorda benissimo di quel momento magico. E' bello guardare in sù e immaginare, là sulla Luna, tre astronauti coraggiosi che poi, una volta tornati sulla Terra, hanno accarezzato due biondi ragazzini italiani.”
David, a distanza di anni, si ricorda benissimo di quel momento magico. E' bello guardare in sù e immaginare, là sulla Luna, tre astronauti coraggiosi che poi, una volta tornati sulla Terra, hanno accarezzato due biondi ragazzini italiani.”
Elenco
Quello che segue è l'elenco (incompleto) delle gallerie che hanno rifiutato o ignorato il mio lavoro.
A quest'elenco potrei aggiungerne uno, vastissimo, di etichette discografiche, piccole, medie e grandi che nell'arco di circa trent'anni non hanno mai preso in considerazione la mia musica. Musica che a tutt'oggi è inedita e ascoltata solo dai miei familiari e da pochi amici.
Italia
Studio Raffaelli - Trento
Guido Carbone – Torino
Cannaviello - Milano
Giò Marconi - Milano
Gian Ferrari - Milano
Studio Soligo - Roma
Alessandra Bonomo - Roma
Agarte - Roma
Galleria Giulia - Roma
L'Isola - Roma
Il Segno - Roma
Studio S - Roma
Netta Vespignani - Roma
Milena Ugolini -Roma
La Nuova Pesa - Roma
Valentina Moncada - Roma
Sperone - Roma
Ennio Borzi - Roma
Editalia - Roma
Galleria dei Serpenti - Roma
Studio Durante - Roma
Il Campo - Roma
Galleria Rondanini - Roma
Carlo Virgilio - Roma
Don Chisciotte - Roma
Il Gabbiano - Roma
Galleria dell'Oca - Roma
Centro Cult. Fontanella Borghese - Roma
L’Image - Roma
Galleria Nova - Roma
Il Ponte - Roma
Lombardi - Roma
Pino Casagrande -Roma
La Mente e l'Immagine - Roma
Il Polittico - Roma
Pio Monti - Roma
Autori/Messa - Roma
Sales - Roma
Ugo Ferranti - Roma
Maniero - Roma
L’Attico - Roma
Il Fotogramma - Roma
Sprovieri - Roma
Tele Market - Roma
Magazzino d'arte moderna - Roma
Toselli - Milano
Naviglio - Venezia
Studio Guenzani - Milano
Paola Steltzer - Trento
IN-ARCO - Torino
Sozzani - Milano
Guenzani - Milano
Mazzoli - Modena
Monica De Cardenas - Milano
Alfonso Artiaco - Pozzuoli
Istituto Italiano DI Cultura - Berlino
ART’E’ - Bologna
No Code - Bologna
Theoretical Events - Napoli
Cleto Polcina - Roma
Antonia Jannone - Milano
B & D - Milano
Maria Cilena - Milano
FrancescaKaufman - Milano
Colombo Arte - Milano
Forni - Milano
Maze Gallery - Milano
Battaglia - Milano
Romberg - Latina
Santo Ficara - Firenze
Spazio Consolo - Milano
Paris Art Gallery - Milano
Fuoriuso - Milano
Recalcati - Milano
Invernizzi - Milano
Marella - Milano
Franco Noero - Torino
Mondobizzarro - Bologna
Studio Visconti - Milano
Luigi Franco - Milano
Galleria Cardi - Milano
Artra - Milano
Massimo Carasi - Milano
ZONCA & ZONCA - Milano
Marabini - Milano
Galleria Plastica - Bologna
Ariete - Torino
Brancolini - Firenze
Velan - Torino
Art and Arts - Torino
Paolo Curti - Milano
Raffaella Cortese - Milano
EmiFontana - Milano
Rossana Ciocca - Milano
Changin Role - Napoli
Lia Rumma - Napoli, Milano
404 Gallery - Milano
Facchinato - Bologna
Studio Trisorio - Napoli
T 293 - Napoli
Franco Riccardo - Napoli
Dry Photo - Prato
Galleria Bagnai - Firenze
Gas Art - Torino
Velan Arte Contemporanea - Torino
Guidi & Schoen - Torino
Spazio Zebra - Genova
Artra - Genova
Martini & Ronchetti - Genova
Alberto Peola - Torino
Cons Arc - Chiasso
Spazia - Bologna
Otto Arte Contemporanea - Roma
ROMA ROMA ROMA - Roma
Lorcan O’Neill - Roma
Gagosian Gallery - Roma
Eendemica - Roma
Contemporary Art Society - Roma
Segni Mutanti - Roma
GalleriaChiari - Roma
Changing Role - Roma
Erica Fiorentini- Roma
EMMEOTTO - Roma
First Galley - Roma
Giacomo Guidi - Roma
Il Traghetto - Roma
Luxardo - Roma
Ermanno Tedeschi - Roma
Senza Titolo - Roma
RAM - Roma
Dora Diamanti - Roma
Lipanjepuntin - Roma
Cesare Manzo - Roma
V.M.21 - Roma
Galleria dell'Oro - Roma
La Nuvola - Roma
One Piece - Roma
Stop Arteventi - Roma
Galleria a Via Dei Coronari - Roma
The Gallery Apart - Roma
Ingresso Pericoloso - Roma
M.L. Fleish - Roma
Cortese & Lisanti- Roma
Mucciaccia - Roma
Minini - Milano
Furini - Roma
Spaziottagoni - Roma
La Linea - Roma
BosiArtes - Roma
Galleria Forma - Milano
Galleria 42 - Modena
Federico Luger - Milano
Thomas Brambilla - Bergamo
Federica Schiavo Gallery - Roma
T293 - Roma
Ulisse Gallery - Roma
Alessandri - Roma
Limen - Roma
Overfoto - Napoli
Bianca Arte Contemporanea - Palermo
Lisson Gallery - Milano
Dryphoto - Prato
Incontro D'arte - Roma
Indipendenza Studio - Roma
Gallerati - Roma
Artopia - Milano
Giuseppe Frau - Sardegna
Paci - Brescia
Edward Cutler - Milano
Primo Piano - Napoli
Umberto di Marino - Napoli
T 293 - Napoli
Blindarte - Napoli
1 Opera Gallery - Napoli
Casamadre - Napoli
Piero Renna - Napoli
Dino Morra - Napoli
Mimmo Scognamiglio - Napoli
Raucci/Santamaria - Napoli
Cà di Frà - Milano
Primo Piano - Napoli
Moretti - Firenze, Londra, New York
Materia - Roma
Colli - Roma
Alidem - Milano
Stile Arte - rivista online
Bonelli Arte - Mantova
Galleria del Cembalo - Roma
Richter Fine Art - Roma
Mac Maja Arte Contemporanea - Roma
Image Gallery - Bologna
Fuori Campo - Siena
Rosso 20sette - Roma
Rossmut - Roma
Camera 16 - Milano
Spazio Nuovo - Roma
D 406 - Modena
Galleria Umberto Di Marino - Napoli
Galleria Tiziana Di Caro - Napoli
Galleria E23 - Napoli
Guidi & Schoen - Genova
Sharevolution - Genova
Poggiali - Milano - Firenze
Interno 18 - Cremona
Mapils Gallery - Napoli
Thomas Dane Gallery - Napoli
Andrea Nuovo Home Gallery - Napoli
Galleria Poggiali - Firenze
Tornabuoni Arte - Firenze
Aria Art Gallery - Firenze
Galleria ZetaEffe - Firenze
Galleria Il Ponte - Firenze
Frittelli Arte Contemporanea - Firenze
Galleria Federico Luger - Milano
Viasaterna - Milano
PH NEUTRO - Siena
Twenty 14 - Milano
Origini Edizioni - Livorno
Tiziana Di Caro - Napoli
Laura Bulian - Milano
Building - Milano
10 A.M. Art - Milano
aA29 - Milano
Project Gallery - Milano
Il Colorificio - Milano
Dep Art Gallery - Milano
Renata Fabbri - Milano
Fumagalli - Milano
Kaufmann Repetto - Milano
Le Case D’Arte - Milano
Loom Gallery - Milano
Galleria Milano - Milano
Francesca Minini - Milano
Osart Gallery - Milano
Francesco Pantaleone - Milano
Prometeo Gallery - Milano
Galleria San Soda - Milano
The Flat di Massimo Carasi - Milano
Vistamarestudio - Milano
Galleria Zero - Milano
A Plus Gallery - Venezia
Annarumma - Napoli
Edizioni Quinlan - San Severino Marche
Marcorossi - Milano
Dryphoto - Prato
Clima Gallery - Milano
Around Photography - Milano
Casati Arte Contemporanea - Torino
Metronom - Modena
Umberto Di Marino - Napoli
Galleria SIX - Milano
Magazzeno Art Gallery - Ravenna
P 420 - Bologna
Galleria Zero - Milano
Eduardo Secci - Firenze
Galleria 42 - Modena
Camera - Torino
Rolando Anselmi - Roma
Brand New Gallery - Milano
Galleria Zero - Milano
Twenty 14 - Milano
Brand new Gallery - Milano
Dimora Artica - Milano
Clima Gallery - Milano
Ribot Gallery - Milano
M 77 - Milano
Vistamare - Pescara
Alessia Paladini Gallery - Milano
Nicola Pedana - Caserta
Osart Gallery - Milano
Paola & Simondi - Torino
CAR DRDE - Bologna
Galleria Vannucci - Pistoia
A+B gallery - Brescia
Cardelli & Fontana - Sarzana
Cortesi Gallery - Milano
Dellupi Arte - Milano
Eduardo Secci - Firenze
Enrico Astuni - Bologna
Federico Rui - Milano
Francesca Minini - Milano
Conceptual - Milano
Giovanni Bonelli - Milano
Open Art - Prato
Galleriapiù - Bologna
Gian Marco Casini Gallery - Livorno
Il Chiostro Arte Contemporanea - Saronno
L’Ariete Arte Contemporanea - Bologna
Galleria La Linea - Montalcino
MAAB Gallery - Milano
MAGMA Gallery - Bologna
Matteo Lampertico Fine Art - Milano
Mazzoleni - Torino
Menhir Arte Contemporanea - Milano
Norma Mangione - Torino
Drago - Casa editrice di arte contemporanea e cultura pop - Roma
Sharevolution Contemporary Art - Genova
Photolux Festival - Lucca
Basile Contemporary - Roma
White Noise - Roma
Stati Uniti
Leo Koenig - New York
Brooke Alexander - New York
Janet Borden - New York
Spencer Brownstone - New York
Deitch Projects - New York
Stephen Haller - New York
Nancy Hoffman - New York
Phyllis Kind - New York
Lehmann Maupin - New York
Lennon-Weinberg - New York
Curt Marcus - New York
Jack Tilton - New York
David Zwirner - New York
Alexander and Bonin - New York
Marianne Boesky - New York
Tanya BONAKDAR - New York
Crg Gallery - New York
Cheim & Read - New York
Cohan , Leslie & Brown - New York
D’amelio Terras - New York
Dca Gallery - New York
Debs & Co. - New York
Dorfman Projects - New York
Dee / Glasoe - New York
Feature - New York
Feigen Contemporary - New York
Klemens Gasser - New York
Gallery Henoch - New York
Thomas Erben - New York
Caren Golden - New York
Greene Naftali - New York
Elizabet Harris - New York
Pat Hearn - New York
I-20 Gallery - New York
Peres Project - New York
Axis Gallery - New York
Casey Kaplan - New York
Nicole Klagsbrun - New York
Andrew Kreps - New York
Lombard- Freid Fine Arts - New York
Luhring Augustine - New York
Matthew Marks - New York
Marcello Marvelli - New York
Robert Miller - New York
Nikolai Fine Arts - New York
Rare - New York
Ricco/Maresca - New York
Yancey Richardson Gallery - New York
Gallery 24 - New York
Paul Rodgers - New York
Lucas Schoormans - New York
Howard Scott - New York
Jack Shainman - New York
Brent Sikkema - New York
303 Gallery - New York
Tatistcheff & Co. - New York
Team - New York
Ten In One Gallery - New York
Leslie Tonkonow - New York
Von Lintel & Nusser - New York
George Adams - New York
Forum - New York
Marian Goodman - New York
Edwin Houk - New York
Mitchell - Innes & Nash - New York
The Project - New York
Pierogi - New York
Roebling- Hall - New York
Julie Saul - New York
Ppow - New York
De Lellis - New York
Jay Grimm - New York
Cheril Pelavin - New York
Ronald Feldman - New York
Paul Morris - New York
Gorney,Bravin&Lee - New York
Clementine - New York
Fredericks Freiser - New York
Gracie Mansion - New York
Frederieke Taylor - New York
Cynthia Broan - New York
Annina Nosei - New York
Leo Castelli - New York
Michael Klein - New York
Barbara Gladstone - New York
Wooster Gardens - New York
Jayne Baum - New York
Franklin Furnace - New York
Barbara Toll - New York
Salvatore Ala - New York
Berman -E –N - New York
Dannenberg - New York
Danzinger - New York
The Drawing Center - New York
First Street - New York
Germans Van Eck - New York
Pul Kasmin - New York
Klarfeld – Perry - New York
Louver Gallery - New York
Robert Morrison - New York
Katarina Rich Perlow - New York
Tony Shafrazi - New York
Holly Solomon - New York
Witkin Gallery - New York
Alternative Museum - New York
White Columns - New York
Barbara Braathen - New York
Pace – Mc Gill Gallery - New York
Thread Waxing Space - New York
Westwood Gallery - New York
American Fine Arts Co. - New York
Peter Blum - New York
Pace – Wildenstein - New York
P.S.1 - New York
Burnett Miller - Los Angeles
Gallery At 817 - Los Angeles
Jan Baum - Los Angeles
Fahey/Klein - Los Angeles
Jan Kesner - Los Angeles
Jack Kesner - Los Angeles
Jack Rutberg - Los Angeles
Jan Turner / Krull - Los Angeles
Jack Glenn - Los Angeles
Ace Gallery - Los Angeles
Ovsey Gallery - Los Angeles
Space Gallery - Los Angeles
Barekat Gallery - Los Angeles
New Space - Los Angeles
Earl Mc Grath - Los Angeles
Tatischieff Gallery - Los Angeles
Rosamund Felsen - Los Angeles
Blum Helman - Los Angeles
Wenger - Los Angeles
Ruth Bachofner - Los Angeles
G. Ray Hawkins - Los Angeles
Maloney Gallery - Los Angeles
Mark Richards Gallery - Los Angeles
136. Circle Fine Art Co. - Chicago
Spazzapan Art Gallery - Malibu
Riva Gallery - New York
Axis Gallery - New York
Peres Project - New York
Jackson Fine Art - Atlanta
Stux Gallery - New York
Lehman-Maupin - New York
Robert Koch Gallery - San Francisco
Kopeikin Gallery - Los Angeles
Jenkins/Johnson Gallery - New York-San Francisco
SouthFirst Gallery - New York
Vito Schnabel Gallery - New York
Venus - New York
Luxembourg & Dayan - New York
Coagula Curatorial - Los Angeles
Gitterman Gallery - New York
Edwynn Houk Gallery - New York
David Nolan Gallery - New York
Peter Freeman, Inc. New York
Nicodim Gallery -Los Angeles
Metro Pictures - New York
Mitchell-Innes & Nash - New York
Ryan Lee Gallery - New York
Regen Projects - Los Angeles
Rhona Hoffman Gallery - Chicago
GR gallery, 255 Bowery - New York
Nahmad Contemporary - New York
Marian Goodman - New York
Olanda
Bert Huisman - Apeldoorn
Galerie Mokum - Amsterdam
Verkerke Reprodukties - Nl
Art Unlimited - Amsterdam
Frans Hals Museum - Haarlem
Van Abbe Museum - Eindhoven
Overholland Museum - Amsterdam
Galerie Torch - Amsterdam
Galerie De Expeditie - Amsterdam
Protonica - Amsterdam
Bloom Galerie - Amsterdam
Onrust - Amsterdam
Barbara Faber - Amsterdam
Fotomania - Rotterdam
Delta - Rotterdam
M K - Rotterdam
Steltman - Amsterdam
Tania Rumpff - Haarlem
Galerie Het Maziehuisje – Den Haag
Groninger Museum - Nl
Stedelijkmuseum - Amsterdam
Galerie De La Tour - Groningen
Marijke Raijmakers - Grubbenworst
Paul Andriess - Amsterdam
Ellen De Bruijne Projects - Amsterdam
Van Gelder Gallery - Amsterdam
Annette Gelink - Amsterdam
Fons Welters - Amsterdam
Slewe - Amsterdam
Alex Daniels, Reflex - Amsterdam
Galerie Steendrukkerij - Amsterdam
Galerie Wim Van Krimpen - Rotterdam
Hug Gallery - Amsterdam
Galerie Ron Mandos - Amsterdam
Galerie Tent - Rotterdam
Grimm Gallery - Amsterdam
Eduard Planting - Amsterdam
Vanroij Gallery - Arnhem
Grimm Gallery - Amsterdam
TegenboschVanvreden - Amsterdam
Reflex Modern Art Gallery - Amsterdam
Frans Oomen Gallery - Olanda
Kahmann Gallery - Amsterdam
Germania
Galerie Berlin - Berlino
Galerie Brusberg - Berlino
Fine Art Rafael Vostell - Berlino
Galerie Eva Poll - Berlino
Raab Galerie - Berlino
Redmann - Berlino
Galerie Barbara Thumm - Berlino
Galerie Wolf - Berlino
Shift E. V. - Berlino
Silvia Menzel - Berlino
Max Heltzer - Colonia
Michael Werner - Colonia
Heinz Holtmann - Colonia
Galerie Pfefferle - Monaco
Bernd Kluser - Monaco
Paul Maenz - Colonia
Johnen Galere - Berlino
Museum Wurth - Kunzelsau
Daniel Blau - München
Galerie Michael Haas - Berlin
Barbara Gross - Munchen
Gregor Podnar - Berlino
König Galerie - Berlino
U.K.
Fisher Fine Art - Londra
Anthony D’Offay - Londra
Bernard Jacobson Gallery - Londra
Michael Hue-Williams Gallery - Londra
Lisson Gallery - Londra
Maureen Paley Interim Art - Londra
Anne Faggionato - Londra
Photografer Gallery - Londra
Saatchi Gallery - Londra
White Cube - Londra
Blains Fine Art - Londra
Hamilton’s Gallery - Londra
Anthony Reynolds - Londra
Bca Boukamel - Londra
Camerawork - Londra
Entwistle - Londra
Flowers East - Londra
Gagosian - Londra
Miro Victoria - Londra
Waddington - Londra
White Chapel - Londra
South London Art - Londra
Hamiltons Gallery - Londra
Serpentine Gallery - London
Maconochie Photography - London
Brancolini Grimaldi - London
The Photographer’s Gallery - London
Repetto Gallery - London
Thomas Dane Gallery - London
Richard Saltoun - London
Pilar Corrias Gallery - London
Thaddaeus Ropac - London
Città varie
Hilger - Vienna
Contact - Vienna
Bruno Bishofberger - Zurigo
Galerie Lelong - Zurigo
Ruth Benzacar - Buenos Aires
Daniel Templon - Parigi
Weinberger - Copenhagen
Snelgrove’s Gallery - London Ontario
Art Gallery - London Ontario
Fisher Fine Art - London Ontario
Galerie Emmanuel Perrotin - Parigi
Galerie Praz/Delavallade - Parigi
Cons Arc - Chiasso (Svizzera)
Galeria Senda - Barcelona
Galerie Kamel Mennour - Parigi
Galerie Wolfsen - Aalborg, Danimarca
Aura Gallery - Shangai, China
Roenish Gallery - Toronto, Canada
Gelerie Hufkens - Brussels, Belgio
Stills Gallery - Paddington, Australia
Galerie Andrea Caratsch - Zurigo
Kodama Gallery - Giappone
New Albion Gallery - Sidney, Australia
Kaviar Factory - Norway
Vervoordt Galerie - Anversa, Belgio
Art Factum - Beirut
Edward Cutler Gallery - London, Milano, Basel
Christophe Guye Galerie - Svizzera
Galeria Senda - Barcelona
Galerie karsten-greve - Paris
Garage Museum - Mosca
M Woods - Pechino
Heillandi Gallery - Lugano
Jacob Bjorn Gallery - Denmark
Bendana Pinel Art - Paris
VNH Gallery - Paris
Keteleer Gallery - Antwerp, Belgium
Hussenot Gallery - Parigi
Galerie Art Concept - Parigi
Galerie Les filles du calvaire - Parigi
Galerie Krinzinger - Vienna
Galerie Peter Kilchmann - Zurigo
Aida Cherfan Fine Art - Beirut
A quest'elenco potrei aggiungerne uno, vastissimo, di etichette discografiche, piccole, medie e grandi che nell'arco di circa trent'anni non hanno mai preso in considerazione la mia musica. Musica che a tutt'oggi è inedita e ascoltata solo dai miei familiari e da pochi amici.
Italia
Studio Raffaelli - Trento
Guido Carbone – Torino
Cannaviello - Milano
Giò Marconi - Milano
Gian Ferrari - Milano
Studio Soligo - Roma
Alessandra Bonomo - Roma
Agarte - Roma
Galleria Giulia - Roma
L'Isola - Roma
Il Segno - Roma
Studio S - Roma
Netta Vespignani - Roma
Milena Ugolini -Roma
La Nuova Pesa - Roma
Valentina Moncada - Roma
Sperone - Roma
Ennio Borzi - Roma
Editalia - Roma
Galleria dei Serpenti - Roma
Studio Durante - Roma
Il Campo - Roma
Galleria Rondanini - Roma
Carlo Virgilio - Roma
Don Chisciotte - Roma
Il Gabbiano - Roma
Galleria dell'Oca - Roma
Centro Cult. Fontanella Borghese - Roma
L’Image - Roma
Galleria Nova - Roma
Il Ponte - Roma
Lombardi - Roma
Pino Casagrande -Roma
La Mente e l'Immagine - Roma
Il Polittico - Roma
Pio Monti - Roma
Autori/Messa - Roma
Sales - Roma
Ugo Ferranti - Roma
Maniero - Roma
L’Attico - Roma
Il Fotogramma - Roma
Sprovieri - Roma
Tele Market - Roma
Magazzino d'arte moderna - Roma
Toselli - Milano
Naviglio - Venezia
Studio Guenzani - Milano
Paola Steltzer - Trento
IN-ARCO - Torino
Sozzani - Milano
Guenzani - Milano
Mazzoli - Modena
Monica De Cardenas - Milano
Alfonso Artiaco - Pozzuoli
Istituto Italiano DI Cultura - Berlino
ART’E’ - Bologna
No Code - Bologna
Theoretical Events - Napoli
Cleto Polcina - Roma
Antonia Jannone - Milano
B & D - Milano
Maria Cilena - Milano
FrancescaKaufman - Milano
Colombo Arte - Milano
Forni - Milano
Maze Gallery - Milano
Battaglia - Milano
Romberg - Latina
Santo Ficara - Firenze
Spazio Consolo - Milano
Paris Art Gallery - Milano
Fuoriuso - Milano
Recalcati - Milano
Invernizzi - Milano
Marella - Milano
Franco Noero - Torino
Mondobizzarro - Bologna
Studio Visconti - Milano
Luigi Franco - Milano
Galleria Cardi - Milano
Artra - Milano
Massimo Carasi - Milano
ZONCA & ZONCA - Milano
Marabini - Milano
Galleria Plastica - Bologna
Ariete - Torino
Brancolini - Firenze
Velan - Torino
Art and Arts - Torino
Paolo Curti - Milano
Raffaella Cortese - Milano
EmiFontana - Milano
Rossana Ciocca - Milano
Changin Role - Napoli
Lia Rumma - Napoli, Milano
404 Gallery - Milano
Facchinato - Bologna
Studio Trisorio - Napoli
T 293 - Napoli
Franco Riccardo - Napoli
Dry Photo - Prato
Galleria Bagnai - Firenze
Gas Art - Torino
Velan Arte Contemporanea - Torino
Guidi & Schoen - Torino
Spazio Zebra - Genova
Artra - Genova
Martini & Ronchetti - Genova
Alberto Peola - Torino
Cons Arc - Chiasso
Spazia - Bologna
Otto Arte Contemporanea - Roma
ROMA ROMA ROMA - Roma
Lorcan O’Neill - Roma
Gagosian Gallery - Roma
Eendemica - Roma
Contemporary Art Society - Roma
Segni Mutanti - Roma
GalleriaChiari - Roma
Changing Role - Roma
Erica Fiorentini- Roma
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M K - Rotterdam
Steltman - Amsterdam
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Vanroij Gallery - Arnhem
Grimm Gallery - Amsterdam
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Daniel Blau - München
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Art Gallery - London Ontario
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Galerie Emmanuel Perrotin - Parigi
Galerie Praz/Delavallade - Parigi
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Art Factum - Beirut
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Christophe Guye Galerie - Svizzera
Galeria Senda - Barcelona
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Garage Museum - Mosca
M Woods - Pechino
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Hussenot Gallery - Parigi
Galerie Art Concept - Parigi
Galerie Les filles du calvaire - Parigi
Galerie Krinzinger - Vienna
Galerie Peter Kilchmann - Zurigo
Aida Cherfan Fine Art - Beirut
Wild Way
Nei primi anni settanta ero un ragazzetto e spesso vagabondavo per Roma non smettendo mai di fare nuove scoperte: ero affascinato da tutto: luoghi, colori, odori, gente, suoni. Frequentavo il primo anno di liceo artistico in via di Ripetta e il pomeriggio gironzolavo per i vicoli del centro storico per poi finire a Piazza Navona, Campo dè Fiori, Piazza Farnese, Trastevere. A volte incrociavo un giovane uomo, un gigante con basettoni, baffi ispidi e lunghi capelli scuri: aveva sempre un ukulele a tracolla. Incuriosito lo seguivo con lo sguardo; mai avrei immaginato che alcuni anni più tardi lui ed io ci saremmo ritrovati a suonare insieme in un gruppo.
Il giorno del mio quattordicesimo compleanno papà e mamma mi regalarono una chitarra acustica che, dopo tutto questo tempo, ancora possiedo e suono. Piano piano sono diventato un grande appassionato di country blues e nel 1980 ho iniziato a suonare la chitarra dobro, una di quelle completamente metalliche. Studiavo Sam Lightnin’ Hopkins e Fred Mc Dowell, e approfondivo la tecnica slide. Mi esibivo dappertutto: per la strada, nelle feste di piazza dei paesi intorno a Roma, in qualche liceo durante le occupazioni, ospite di alcune tra le prime televisioni private romane, e poi anche nei corridoi della metropolitana appena inaugurata. Ventenne, ho suonato diverse volte al Folk Studio, mitico locale underground romano dove, anni prima, si era esibito un giovane e ancora sconosciuto Bob Dylan. Ad un certo punto, all'improvviso, ho venduto la chitarra dobro e ho abbandonato il country blues per dedicarmi completamente alla chitarra elettrica. Nel biennio 1979-80 durante i miei giri per il centro di Roma mi capitava ancora di vedere il gigante con l'ukulele che, con un gruppo musicale composto da stravaganti personaggi spesso si esibiva a Piazza Navona. Ricordo che assieme a lui c'erano due tipi con capelli lunghi, cappellaccio in testa, giacca con le frange, mocassini da pellerossa, pantaloni di cuoio aderenti, il tutto cucito a mano con grande perizia. A volte suonavano sulle gradinate di Piazza di Spagna davanti ad un folto pubblico ed io, tra la gente, comodamente seduto sui gradini, mi fermavo per delle ore ad osservarli ed ascoltarli. Erano veramente incredibili. Un giorno, durante una pausa, cominciai a chiacchierare con uno di loro. Era Paolone, il gigante. "Io suono la chitarra elettrica blues", gli ho detto. E lui: "Capiti a fagiolo. Umba, il nostro chitarrista, si è appena trasferito al nord: perchè non ti aggreghi a noi? Domani pomeriggio alle tre ti aspettiamo qui, porta lo strumento e sii puntuale." Fu così che entrai a far parte dei Wild Way: Leno Landini all'armonica, suo fratello Frisco alle percussioni, Paolo Bencivenga all'ukulele baritono elettrico, Massimo Bizzarri detto Bizzo, chitarrista che saltuariamente si univa a noi, ed io, voce e chitarra, sembravamo nati per suonare insieme. A Roma ci esibivamo ogni santo giorno e ovunque: nei club di Trastevere e San Lorenzo, in grandi feste all'aperto, ogni pomeriggio a Piazza di Spagna e la sera a Piazza Navona. Una carovana di gente si muoveva con noi e dopo la musica spesso facevamo nottata fino a vedere l'alba, momento in cui si poteva decidere se andare ad accamparci sul lago di Martignano, a quei tempi ancora selvaggio, incontaminato e pochissimo frequentato.
Dopo una lunga persecuzione nei nostri confronti da parte delle forze dell'ordine, con grande fatica ed estenuanti trattative con la questura di Roma e il comando dei vigili urbani, siamo riusciti ad ottenere, in via del tutto eccezionale, un permesso scritto, timbrato e firmato per poter suonare nello spiazzo situato a metà della scalinata di Piazza di Spagna. Ricordo ancora i surreali incontri nella caserma di via di Montecatini. Tutti intorno ad un tavolo, seduti gomito a gomito con i funzionari e il comandante in capo a discutere e a cercare di trovare una soluzione a quella che era definita ”Emergenza Wild Way”. E grazie a Paolone, ai suoi sorrisi e alle sue battute, anche in quei momenti difficili le polemiche erano sempre tenute lontano e si finiva a ridere e a ironizzare. Alla fine i vigili urbani si dissero favorevoli a questo permesso perchè, esasperati dai nostri continui concerti estemporanei all'interno della città, pensavano in questo modo di regolamentare la nostra presenza altrimenti ingestibile ed incontrollabile. Questo episodio, così lontano nel tempo, dimostra come non siano le giunte (che cambiano) ma le leggi e la mentalità a rendere difficile la vita degli artisti di strada.
I nostri concerti erano un vero e proprio evento e la domenica a Trinità dei Monti alcune persone venivano a sentirci addirittura dall'Umbria e dalle Marche. Pioggia, vento, gelo e afa non riuscivano a fermarci e a volte eravamo in grado di suonare senza sosta per più di sei ore consecutive: una gran prova di forza e di passione. Ricordo un concerto sotto la pioggia al riparo degli ombrelli del pubblico che, in piedi accanto a noi, ascoltava mentre ci riparava dalla pioggia: scena incredibile e anche commovente. L'estate partivamo per avventurosi ed estenuanti viaggi durante i quali si attraversava l'Europa in lungo e in largo: Danimarca, Svezia, Norvegia, Germania, Olanda, Francia, Spagna, Portogallo. Paola e Mirella sempre con noi. Spesso eravamo ospitati da persone conosciute solo un'ora prima, come a Kassel, in Germania, a Goteborg, in Svezia, e ad Oslo in Norvegia. In Italia la stampa alternativa a volte si interessava a noi e la rivista Frigidaire ci definì "un gruppo di musicisti ambulanti che suona un rock blues dalle tinte vagamente psichedeliche." Ogni tanto qualche sedicente manager, dopo aver assistito ad una nostra performance, si faceva avanti, si presentava e con grande entusiasmo ci diceva: "Ragazzi siete pazzeschi, voglio lanciarvi in grande stile!" Ma queste promesse erano sempre e solo vaneggiamenti in libertà. Alla fine del 1989 entriamo in crisi: stanchezza, dissapori, insoddisfazione e totale mancanza di riconoscimenti concreti (che per la verità, forse sbagliando, non avevamo mai cercato) ci convincono a fare una pausa per riflettere un pò e pensare ad una possibile evoluzione. E' il 1990 e ognuno di noi continua a suonare per conto proprio. A volte ci riuniamo per qualche serata, ma non come Wild Way. Paolo, sensibile e nostalgico, tenta più volte di riformare la banda ma non c'è niente da fare, la magia si è interrotta. Dopo lo scioglimento del gruppo l'unico col quale io rimanga giornalmente in contatto è Paolone. Durante le calde notti d'estate io e lui giriamo per Roma e ovunque veniamo accolti a braccia aperte: Paolo conosce tutti e tutti gli vogliono bene. Poi, tragicamente, lui muore, lasciandoci sconvolti e senza parole. Anche se i Wild Way si fossero un giorno riformati, senza Paolone non sarebbero più stati gli stessi perchè il suono del suo ukulele e le melodie che riusciva a tirar fuori da quello strumento erano uno dei marchi di fabbrica della band. Di questo originale e carismatico gruppo esistono centinaia di foto ma pochissime testimonianze sonore: tre o quattro brani registrati in sala prove con tecnica rudimentale e ore ed ore di registrazioni di concerti all'aperto effettuate da Leno che intelligentemente aveva sempre un walkman con sè. Esisteva una videocassetta di un nostro concerto del 1989 in Umbria, ma ho saputo che questo nastro è stato sciaguratamente cancellato. Peccato, sarebbe stato bello rivederci a quei tempi, con Paolone tra noi, e tutti gli altri.
Sono certo che all'epoca la portata culturale dei Wild Way non sia stata compresa. Così come è stato sottovalutato il loro contributo sociale. Unico gruppo musicale italiano itinerante attivo nelle piazze e nelle strade di tutta Europa i Wild Way hanno avuto il torto, secondo alcuni, di essere totalmente fuori dalle regole dello show business. Infatti managers, produttori e discografici non si sono mai sognati di promuoverci e se abbiamo avuto un seguito, un pubblico entusiasta e fedele, è stato solo grazie alla nostra capacità di coinvolgere l'ascoltatore. Alcune persone hanno pensato che la strada fosse per noi un ripiego, un'ultima spiaggia, l'unica alternativa per chi non è accolto nei circuiti ufficiali. Altri hanno detto che musicisti così bravi erano sprecati a suonare nelle piazze. Ma essere musicisti ambulanti è stata una scelta ben precisa dettata dalla necessità di stare sempre in movimento e di non sottostare a niente e a nessuno. Il mondo, poi, ci sembrava troppo vasto e interessante per poltrire in una città sonnacchiosa e conformista come Roma.
Un giorno del 1983, durante l'ennesima partenza da Roma, appena entrati in Umbria lungo la strada due volanti della polizia ci seguono e ci fanno cenno di accostare. Gli agenti, insospettiti dalla vecchia Ford che avanza a fatica sotto il peso del portapacchi stracarico, non vedono l'ora di sapere chi siamo e dove siamo diretti procedendo a 40 all'ora su di una strada secondaria completamente deserta. Al volante c'è Paola, perchè nessuno di noi musicisti ha la patente. Ci seguono in moto Paolone e Mirella. Alla domanda degli agenti rispondiamo in maniera corale ed entusiasta: "Dove andiamo? Ma in Norvegia!!!!" I poliziotti, simpatici e cordiali, scoppiano a ridere e ci dicono che in quelle condizioni non saremmo giunti nemmeno a Spoleto. Tempo due settimane ed eravamo a Oslo.
Voglio raccontare e quindi tramandare un episodio che, pur autentico, ha qualcosa di romanzesco. Due del mattino, Paolone pizzica le corde del suo ukulele seduto sulle gradinate deserte di Piazza di Spagna quando un tizio con la chitarra in spalla gli chiede se può unirsi a lui. I due cantano e suonano per più di un'ora illuminati dalla fioca luce dei lampioni. Qualche fortunato testimone si aggrega battendo il tempo con le mani. Nessuno purtroppo ha un registratore e tanto meno una videocamera ma non importa, quello che conta è l'irripetibilità del momento: la musica scaturisce libera, fluida, avvolgente e non c'è bisogno d'altro.
Ed è per questo che Paolo, con estremo riserbo, non parlava mai di quella notte in cui lui e Bruce Springsteen suonarono insieme.
Il giorno del mio quattordicesimo compleanno papà e mamma mi regalarono una chitarra acustica che, dopo tutto questo tempo, ancora possiedo e suono. Piano piano sono diventato un grande appassionato di country blues e nel 1980 ho iniziato a suonare la chitarra dobro, una di quelle completamente metalliche. Studiavo Sam Lightnin’ Hopkins e Fred Mc Dowell, e approfondivo la tecnica slide. Mi esibivo dappertutto: per la strada, nelle feste di piazza dei paesi intorno a Roma, in qualche liceo durante le occupazioni, ospite di alcune tra le prime televisioni private romane, e poi anche nei corridoi della metropolitana appena inaugurata. Ventenne, ho suonato diverse volte al Folk Studio, mitico locale underground romano dove, anni prima, si era esibito un giovane e ancora sconosciuto Bob Dylan. Ad un certo punto, all'improvviso, ho venduto la chitarra dobro e ho abbandonato il country blues per dedicarmi completamente alla chitarra elettrica. Nel biennio 1979-80 durante i miei giri per il centro di Roma mi capitava ancora di vedere il gigante con l'ukulele che, con un gruppo musicale composto da stravaganti personaggi spesso si esibiva a Piazza Navona. Ricordo che assieme a lui c'erano due tipi con capelli lunghi, cappellaccio in testa, giacca con le frange, mocassini da pellerossa, pantaloni di cuoio aderenti, il tutto cucito a mano con grande perizia. A volte suonavano sulle gradinate di Piazza di Spagna davanti ad un folto pubblico ed io, tra la gente, comodamente seduto sui gradini, mi fermavo per delle ore ad osservarli ed ascoltarli. Erano veramente incredibili. Un giorno, durante una pausa, cominciai a chiacchierare con uno di loro. Era Paolone, il gigante. "Io suono la chitarra elettrica blues", gli ho detto. E lui: "Capiti a fagiolo. Umba, il nostro chitarrista, si è appena trasferito al nord: perchè non ti aggreghi a noi? Domani pomeriggio alle tre ti aspettiamo qui, porta lo strumento e sii puntuale." Fu così che entrai a far parte dei Wild Way: Leno Landini all'armonica, suo fratello Frisco alle percussioni, Paolo Bencivenga all'ukulele baritono elettrico, Massimo Bizzarri detto Bizzo, chitarrista che saltuariamente si univa a noi, ed io, voce e chitarra, sembravamo nati per suonare insieme. A Roma ci esibivamo ogni santo giorno e ovunque: nei club di Trastevere e San Lorenzo, in grandi feste all'aperto, ogni pomeriggio a Piazza di Spagna e la sera a Piazza Navona. Una carovana di gente si muoveva con noi e dopo la musica spesso facevamo nottata fino a vedere l'alba, momento in cui si poteva decidere se andare ad accamparci sul lago di Martignano, a quei tempi ancora selvaggio, incontaminato e pochissimo frequentato.
Dopo una lunga persecuzione nei nostri confronti da parte delle forze dell'ordine, con grande fatica ed estenuanti trattative con la questura di Roma e il comando dei vigili urbani, siamo riusciti ad ottenere, in via del tutto eccezionale, un permesso scritto, timbrato e firmato per poter suonare nello spiazzo situato a metà della scalinata di Piazza di Spagna. Ricordo ancora i surreali incontri nella caserma di via di Montecatini. Tutti intorno ad un tavolo, seduti gomito a gomito con i funzionari e il comandante in capo a discutere e a cercare di trovare una soluzione a quella che era definita ”Emergenza Wild Way”. E grazie a Paolone, ai suoi sorrisi e alle sue battute, anche in quei momenti difficili le polemiche erano sempre tenute lontano e si finiva a ridere e a ironizzare. Alla fine i vigili urbani si dissero favorevoli a questo permesso perchè, esasperati dai nostri continui concerti estemporanei all'interno della città, pensavano in questo modo di regolamentare la nostra presenza altrimenti ingestibile ed incontrollabile. Questo episodio, così lontano nel tempo, dimostra come non siano le giunte (che cambiano) ma le leggi e la mentalità a rendere difficile la vita degli artisti di strada.
I nostri concerti erano un vero e proprio evento e la domenica a Trinità dei Monti alcune persone venivano a sentirci addirittura dall'Umbria e dalle Marche. Pioggia, vento, gelo e afa non riuscivano a fermarci e a volte eravamo in grado di suonare senza sosta per più di sei ore consecutive: una gran prova di forza e di passione. Ricordo un concerto sotto la pioggia al riparo degli ombrelli del pubblico che, in piedi accanto a noi, ascoltava mentre ci riparava dalla pioggia: scena incredibile e anche commovente. L'estate partivamo per avventurosi ed estenuanti viaggi durante i quali si attraversava l'Europa in lungo e in largo: Danimarca, Svezia, Norvegia, Germania, Olanda, Francia, Spagna, Portogallo. Paola e Mirella sempre con noi. Spesso eravamo ospitati da persone conosciute solo un'ora prima, come a Kassel, in Germania, a Goteborg, in Svezia, e ad Oslo in Norvegia. In Italia la stampa alternativa a volte si interessava a noi e la rivista Frigidaire ci definì "un gruppo di musicisti ambulanti che suona un rock blues dalle tinte vagamente psichedeliche." Ogni tanto qualche sedicente manager, dopo aver assistito ad una nostra performance, si faceva avanti, si presentava e con grande entusiasmo ci diceva: "Ragazzi siete pazzeschi, voglio lanciarvi in grande stile!" Ma queste promesse erano sempre e solo vaneggiamenti in libertà. Alla fine del 1989 entriamo in crisi: stanchezza, dissapori, insoddisfazione e totale mancanza di riconoscimenti concreti (che per la verità, forse sbagliando, non avevamo mai cercato) ci convincono a fare una pausa per riflettere un pò e pensare ad una possibile evoluzione. E' il 1990 e ognuno di noi continua a suonare per conto proprio. A volte ci riuniamo per qualche serata, ma non come Wild Way. Paolo, sensibile e nostalgico, tenta più volte di riformare la banda ma non c'è niente da fare, la magia si è interrotta. Dopo lo scioglimento del gruppo l'unico col quale io rimanga giornalmente in contatto è Paolone. Durante le calde notti d'estate io e lui giriamo per Roma e ovunque veniamo accolti a braccia aperte: Paolo conosce tutti e tutti gli vogliono bene. Poi, tragicamente, lui muore, lasciandoci sconvolti e senza parole. Anche se i Wild Way si fossero un giorno riformati, senza Paolone non sarebbero più stati gli stessi perchè il suono del suo ukulele e le melodie che riusciva a tirar fuori da quello strumento erano uno dei marchi di fabbrica della band. Di questo originale e carismatico gruppo esistono centinaia di foto ma pochissime testimonianze sonore: tre o quattro brani registrati in sala prove con tecnica rudimentale e ore ed ore di registrazioni di concerti all'aperto effettuate da Leno che intelligentemente aveva sempre un walkman con sè. Esisteva una videocassetta di un nostro concerto del 1989 in Umbria, ma ho saputo che questo nastro è stato sciaguratamente cancellato. Peccato, sarebbe stato bello rivederci a quei tempi, con Paolone tra noi, e tutti gli altri.
Sono certo che all'epoca la portata culturale dei Wild Way non sia stata compresa. Così come è stato sottovalutato il loro contributo sociale. Unico gruppo musicale italiano itinerante attivo nelle piazze e nelle strade di tutta Europa i Wild Way hanno avuto il torto, secondo alcuni, di essere totalmente fuori dalle regole dello show business. Infatti managers, produttori e discografici non si sono mai sognati di promuoverci e se abbiamo avuto un seguito, un pubblico entusiasta e fedele, è stato solo grazie alla nostra capacità di coinvolgere l'ascoltatore. Alcune persone hanno pensato che la strada fosse per noi un ripiego, un'ultima spiaggia, l'unica alternativa per chi non è accolto nei circuiti ufficiali. Altri hanno detto che musicisti così bravi erano sprecati a suonare nelle piazze. Ma essere musicisti ambulanti è stata una scelta ben precisa dettata dalla necessità di stare sempre in movimento e di non sottostare a niente e a nessuno. Il mondo, poi, ci sembrava troppo vasto e interessante per poltrire in una città sonnacchiosa e conformista come Roma.
Un giorno del 1983, durante l'ennesima partenza da Roma, appena entrati in Umbria lungo la strada due volanti della polizia ci seguono e ci fanno cenno di accostare. Gli agenti, insospettiti dalla vecchia Ford che avanza a fatica sotto il peso del portapacchi stracarico, non vedono l'ora di sapere chi siamo e dove siamo diretti procedendo a 40 all'ora su di una strada secondaria completamente deserta. Al volante c'è Paola, perchè nessuno di noi musicisti ha la patente. Ci seguono in moto Paolone e Mirella. Alla domanda degli agenti rispondiamo in maniera corale ed entusiasta: "Dove andiamo? Ma in Norvegia!!!!" I poliziotti, simpatici e cordiali, scoppiano a ridere e ci dicono che in quelle condizioni non saremmo giunti nemmeno a Spoleto. Tempo due settimane ed eravamo a Oslo.
Voglio raccontare e quindi tramandare un episodio che, pur autentico, ha qualcosa di romanzesco. Due del mattino, Paolone pizzica le corde del suo ukulele seduto sulle gradinate deserte di Piazza di Spagna quando un tizio con la chitarra in spalla gli chiede se può unirsi a lui. I due cantano e suonano per più di un'ora illuminati dalla fioca luce dei lampioni. Qualche fortunato testimone si aggrega battendo il tempo con le mani. Nessuno purtroppo ha un registratore e tanto meno una videocamera ma non importa, quello che conta è l'irripetibilità del momento: la musica scaturisce libera, fluida, avvolgente e non c'è bisogno d'altro.
Ed è per questo che Paolo, con estremo riserbo, non parlava mai di quella notte in cui lui e Bruce Springsteen suonarono insieme.
Wild Way a Piazza di Spagna nel 1984
Orrore
Una giovane gallerista di Roma esponeva nel proprio spazio giganteschi disegni di Enzo Cucchi, famoso artista della Transavanguardia. Questi disegni raffiguravano spettrali figure a metà strada tra un feto e uno zombie calvo.
Io avevo circa ventisette anni e questa ragazza, osservando i miei lavori, ha esclamato: "Ma questi sono disegni dell'orrore!!!!"
Per lei i feti deformi del famoso artista, che ci fissavano minacciosi dalle pareti della galleria erano idilliache visioni di pace, benessere e serenità. I miei lavori, invece, raffiguranti un padre e un figlio a passeggio, una ragazza in motorino, una coppia che si abbraccia, una donna cieca che cucina, erano per la gallerista "immagini orrorifiche".
Io avevo circa ventisette anni e questa ragazza, osservando i miei lavori, ha esclamato: "Ma questi sono disegni dell'orrore!!!!"
Per lei i feti deformi del famoso artista, che ci fissavano minacciosi dalle pareti della galleria erano idilliache visioni di pace, benessere e serenità. I miei lavori, invece, raffiguranti un padre e un figlio a passeggio, una ragazza in motorino, una coppia che si abbraccia, una donna cieca che cucina, erano per la gallerista "immagini orrorifiche".
Piangere in classe
La mia carriera scolastica è stata un disastro, l'ho vissuta tra bocciature, materie da portare a settembre e insormontabili problemi con la matematica.
Le elementari in un modo o nell'altro passarono ma la mia vivacità veniva spesso scambiata per indisciplina. Durante il primo anno c'era un'anziana maestra che usava metodi ottocenteschi e io spesso dovevo andare alla cattedra, allungare le braccia e ricevere le bacchettate sul palmo delle mani. Poi ci furono le scuole medie, per niente facili, dove, per la prima volta, venne fuori tutta la mia incapacità di ragionare in termini matematici. La professoressa Anzalone, messa davanti all'evidenza, superato il primo momento di incredulità e resasi conto della situazione, con tenacia e gentilezza eroicamente ha provato a spiegarmi le cose ma non c'è stato niente da fare. Un giorno, in preda all'amarezza e alla frustrazione si è messa a piangere in classe. Fu tristissimo e io mi sono sentito in colpa. Intanto i pomeriggi, dopo scuola, prendevo lezioni private di matematica. Ore ed ore passate sugli autobus per raggiungere professori e professoresse che, invano, tentavano di insegnarmi qualcosa. Io ascoltavo e non capivo e spesso mi sentivo stupido, inferiore, e anche arrabbiato con me stesso. Adesso questa patologia va sotto il nome di DSA, ovvero disturbi specifici dell'apprendimento, ma allora, almeno in Italia, non se ne sapeva nulla. Dislessia e discalculia sono i problemi che da sempre mi affliggono, le mie croci: "Il soggetto talvolta può presentare alcune difficoltà di decodifica del testo del problema e può presentare l'impedimento nella risoluzione di semplici problemi matematici che i non affetti da dislessia risolverebbero senza problemi. Hanno quindi un apprendimento più lungo della norma". E' esattamente quello che mi succedeva, e anche oggi, in età matura, non sono in grado di risolvere un problema di quinta elementare.
Nel 1974 venne il liceo artistico e il primo anno filò liscio; pur senza brillare venni promosso. Il secondo anno arrivò la bocciatura, inspiegabile. Tra autogestioni, occupazioni e manifestazioni si era fatto poco e tutti gli studenti della scuola avrebbero meritato un simile trattamento. Io poi ero tra quelli che non manifestavano, non autogestivano e non occupavano. Non importa: venni bocciato.
Voltai pagina e cambiai sede, mi segnai al Giulio Romano, un liceo artistico in zona Ponte Milvio. Durante le lezioni non imparavo granché; a disegno ornato copiavo brocche e bottiglie e non era per niente eccitante. Meglio andava con figura: si disegnava la modella ed io lo facevo con segno fin troppo tormentato. Il professor Raggi, bravo, paziente e lungimirante, riusciva non so come ad apprezzare e diceva che, per qualche misterioso motivo, riuscivo a vedere la giovane modella come sarebbe stata a ottant'anni.
Giunto al quarto anno affrontai la maturità con serenità, senza timori: la classe era unita e il membro interno ci avrebbe seguito da vicino e difeso strenuamente. In pittura e disegno brillavo e avevo voti alti, in matematica come al solito andavo male, nelle altre materie ero sulla sufficienza. Queste erano le premesse. Fui bocciato. Unico della classe. Tutti i compagni ed amici con cui avevo passato lunghi anni e con cui avevo condiviso musica, gioie e dolori, viaggi e speranze, studio e divertimento erano stati promossi, io no. Una grande, immensa ingiustizia. Un'umiliazione profonda. Ero un ragazzo pieno di interessi e di talento ed ero stato trattato come fossi un'incapace, un lavativo, una nullità. Quando uscirono i quadri io non ero a Roma e andò mio padre a vederli. Ansioso cercò la mia sezione, lesse riga dopo riga e arrivò al mio nome. Lanciò un urlo strozzato. Una, due, tre volte verificò di aver letto bene e poi, tremante di rabbia, tornò a casa. Suo figlio era l'unico respinto della classe. Superato il primo momento di incredulità e sempre incoraggiato e supportato dalla mia famiglia mi armai di carta bollata e feci ricorso forte del fatto che durante la mia prova orale si era verificato un vizio di forma: due membri della commissione si erano assentati per andare a prendere un caffè. Due miei compagni di classe e fedeli amici, presenti durante la prova, testimoniarono in mio favore, altri non se la sentirono o ebbero paura. Sta di fatto che venne istituita una commissione esaminatrice e il caso fece un certo scalpore. Ma il presidente della commissione, un pittore di nome Gastone Biggi, si difese strenuamente e poi passò al contrattacco, smosse mari e monti e riuscì, non si sa come, a non farmi ripetere l'esame. Nonostante l'evidente vizio formale che avrebbe dovuto invalidare il mio esame ho perso la causa e ho dovuto ripetere l'anno. Durante queste delicate vicissitudini i miei furono sempre accanto a me, strenuamente schierati dalla mia parte, contro tutto e tutti. Ancora oggi mi chiedo, dopo tanti e tanti anni, come si possa in una classe di liceo artistico bocciare l'unico ragazzo, tra l'altro mediamente studioso, dotato di evidente vocazione artistica e con chiari problemi di dislessia.
Alla fine, dopo sei interminabili anni ce l'ho fatta, mi sono messo alle spalle il liceo e, entusiasta, ho dato l'esame di ammissione all'Accademia di Belle Arti di Roma. Bocciato. E ricordo bene che hanno ammesso tutti: colonnelli in pensione, casalinghe, suore filippine. Insieme ai miei ho chiesto spiegazioni. Ho insistito. Piuttosto seccati il direttore ed un paio di docenti hanno riesaminato i miei lavori. Il responso è stato confermato: "Prova insufficiente data la scarsa qualità dei disegni". Sconfitto ma non domo, su suggerimento di mia madre, ho fatto domanda di ammissione all'Accademia di Amsterdam accludendo foto dei miei lavori e curriculum. Poco dopo è arrivata la risposta dall'Olanda; la commissione mi giudicava "non all'altezza".
Ora faccio il professore. E in questo preciso momento sto seguendo i miei ragazzi durante l'esame di maturità, faccio parte della commissione e sono il membro interno. Alcuni tra i miei allievi hanno un riconosciuto e certificato DSA, disturbo specifico dell'apprendimento. Sono ben seguiti e aiutati, e io sono felice per loro.
Le elementari in un modo o nell'altro passarono ma la mia vivacità veniva spesso scambiata per indisciplina. Durante il primo anno c'era un'anziana maestra che usava metodi ottocenteschi e io spesso dovevo andare alla cattedra, allungare le braccia e ricevere le bacchettate sul palmo delle mani. Poi ci furono le scuole medie, per niente facili, dove, per la prima volta, venne fuori tutta la mia incapacità di ragionare in termini matematici. La professoressa Anzalone, messa davanti all'evidenza, superato il primo momento di incredulità e resasi conto della situazione, con tenacia e gentilezza eroicamente ha provato a spiegarmi le cose ma non c'è stato niente da fare. Un giorno, in preda all'amarezza e alla frustrazione si è messa a piangere in classe. Fu tristissimo e io mi sono sentito in colpa. Intanto i pomeriggi, dopo scuola, prendevo lezioni private di matematica. Ore ed ore passate sugli autobus per raggiungere professori e professoresse che, invano, tentavano di insegnarmi qualcosa. Io ascoltavo e non capivo e spesso mi sentivo stupido, inferiore, e anche arrabbiato con me stesso. Adesso questa patologia va sotto il nome di DSA, ovvero disturbi specifici dell'apprendimento, ma allora, almeno in Italia, non se ne sapeva nulla. Dislessia e discalculia sono i problemi che da sempre mi affliggono, le mie croci: "Il soggetto talvolta può presentare alcune difficoltà di decodifica del testo del problema e può presentare l'impedimento nella risoluzione di semplici problemi matematici che i non affetti da dislessia risolverebbero senza problemi. Hanno quindi un apprendimento più lungo della norma". E' esattamente quello che mi succedeva, e anche oggi, in età matura, non sono in grado di risolvere un problema di quinta elementare.
Nel 1974 venne il liceo artistico e il primo anno filò liscio; pur senza brillare venni promosso. Il secondo anno arrivò la bocciatura, inspiegabile. Tra autogestioni, occupazioni e manifestazioni si era fatto poco e tutti gli studenti della scuola avrebbero meritato un simile trattamento. Io poi ero tra quelli che non manifestavano, non autogestivano e non occupavano. Non importa: venni bocciato.
Voltai pagina e cambiai sede, mi segnai al Giulio Romano, un liceo artistico in zona Ponte Milvio. Durante le lezioni non imparavo granché; a disegno ornato copiavo brocche e bottiglie e non era per niente eccitante. Meglio andava con figura: si disegnava la modella ed io lo facevo con segno fin troppo tormentato. Il professor Raggi, bravo, paziente e lungimirante, riusciva non so come ad apprezzare e diceva che, per qualche misterioso motivo, riuscivo a vedere la giovane modella come sarebbe stata a ottant'anni.
Giunto al quarto anno affrontai la maturità con serenità, senza timori: la classe era unita e il membro interno ci avrebbe seguito da vicino e difeso strenuamente. In pittura e disegno brillavo e avevo voti alti, in matematica come al solito andavo male, nelle altre materie ero sulla sufficienza. Queste erano le premesse. Fui bocciato. Unico della classe. Tutti i compagni ed amici con cui avevo passato lunghi anni e con cui avevo condiviso musica, gioie e dolori, viaggi e speranze, studio e divertimento erano stati promossi, io no. Una grande, immensa ingiustizia. Un'umiliazione profonda. Ero un ragazzo pieno di interessi e di talento ed ero stato trattato come fossi un'incapace, un lavativo, una nullità. Quando uscirono i quadri io non ero a Roma e andò mio padre a vederli. Ansioso cercò la mia sezione, lesse riga dopo riga e arrivò al mio nome. Lanciò un urlo strozzato. Una, due, tre volte verificò di aver letto bene e poi, tremante di rabbia, tornò a casa. Suo figlio era l'unico respinto della classe. Superato il primo momento di incredulità e sempre incoraggiato e supportato dalla mia famiglia mi armai di carta bollata e feci ricorso forte del fatto che durante la mia prova orale si era verificato un vizio di forma: due membri della commissione si erano assentati per andare a prendere un caffè. Due miei compagni di classe e fedeli amici, presenti durante la prova, testimoniarono in mio favore, altri non se la sentirono o ebbero paura. Sta di fatto che venne istituita una commissione esaminatrice e il caso fece un certo scalpore. Ma il presidente della commissione, un pittore di nome Gastone Biggi, si difese strenuamente e poi passò al contrattacco, smosse mari e monti e riuscì, non si sa come, a non farmi ripetere l'esame. Nonostante l'evidente vizio formale che avrebbe dovuto invalidare il mio esame ho perso la causa e ho dovuto ripetere l'anno. Durante queste delicate vicissitudini i miei furono sempre accanto a me, strenuamente schierati dalla mia parte, contro tutto e tutti. Ancora oggi mi chiedo, dopo tanti e tanti anni, come si possa in una classe di liceo artistico bocciare l'unico ragazzo, tra l'altro mediamente studioso, dotato di evidente vocazione artistica e con chiari problemi di dislessia.
Alla fine, dopo sei interminabili anni ce l'ho fatta, mi sono messo alle spalle il liceo e, entusiasta, ho dato l'esame di ammissione all'Accademia di Belle Arti di Roma. Bocciato. E ricordo bene che hanno ammesso tutti: colonnelli in pensione, casalinghe, suore filippine. Insieme ai miei ho chiesto spiegazioni. Ho insistito. Piuttosto seccati il direttore ed un paio di docenti hanno riesaminato i miei lavori. Il responso è stato confermato: "Prova insufficiente data la scarsa qualità dei disegni". Sconfitto ma non domo, su suggerimento di mia madre, ho fatto domanda di ammissione all'Accademia di Amsterdam accludendo foto dei miei lavori e curriculum. Poco dopo è arrivata la risposta dall'Olanda; la commissione mi giudicava "non all'altezza".
Ora faccio il professore. E in questo preciso momento sto seguendo i miei ragazzi durante l'esame di maturità, faccio parte della commissione e sono il membro interno. Alcuni tra i miei allievi hanno un riconosciuto e certificato DSA, disturbo specifico dell'apprendimento. Sono ben seguiti e aiutati, e io sono felice per loro.
Nell’estate del 1983 Leno ed io siamo ad Amsterdam, con noi c’è Paola. Suoniamo in duo per le strade e nelle piazze e la notte dormiamo nella seconda casa di un dentista amico di amici. Subito cerchiamo locali in cui poterci esibire; ci suggeriscono il Maloe Melo, un rinomato blues-club situato nella zona più antica della città, il distretto Jordaan. Un pomeriggio assolato cerchiamo il posto e lo troviamo, varchiamo la soglia. Nella penombra c’è un tipo che sta spazzando il pavimento. Gli chiedo: “C’è il proprietario?” Lui mi dice: “Sono io”. Gli domando se gli possiamo lasciare un nastro da ascoltare perché vorremmo suonare nel suo locale. Lui ci guarda, posa la scopa và verso il muro, apre il quadro elettrico e accende le luci del palco, ce lo indica e dice: “Fatemi sentire cosa sapete fare”. Leno ed io ci gurdiamo e sorridiamo, i modi spicci del gestore ci piacciono. Saliamo un paio di gradini e ci posizioniamo sul palco. Io mi attacco ad un Twin Reverb, Leno all’impianto voci. Iniziamo. A metà pezzo il tizio ci interrompe: “Ok, ok, stop, ho capito”. Lo guardiamo in attesa. Dice: “Vi ingaggio, venerdì prossimo alle 21.30 farete un concerto qui. Arrivate in anticipo che proviamo i suoni”. Poi in città ci raggiunge Frisco e per le persone che ci ospitano in quattro siamo in troppi, ci mandano via. Troviamo posto in un ostello dalle parti di Oosterpark dove ci raggiungono Paolo e Mirella che erano in giro per l’Europa. Ora siamo i Wild Way al gran completo e cerchiamo di capire se rimanere ad Amsterdam oppure metterci in viaggio verso nuove avventure.
Leno e David a via Condotti. Roma, Giugno 1983.
Leno e David a Montefiascone nel 2015
La creativa
Nel 1993 sono stato convocato da una giovane e rampante responsabile del settore "creativi" della Saatchi & Saatchi, famosa agenzia pubblicitaria. La ragazza ha sentito parlare delle mie foto da un amico comune e vuole vederle. Al telefono mi dice che intende trovare qualcuno con cui collaborare: un inventore di immagini dal linguaggio non codificato e senza compromessi. Una volta nel suo studio, davanti alle mie foto il suo atteggiamento simpatico e disponibile si blocca. Cambia del tutto. Diventa improvvisamente ostile e antipatico. "Ma cosa mi fai vedere, questa non è nemmeno arte, è puro trash, peraltro inutilizzabile in pubblicità. Sono immagini improponibili, improbabili e fastidiose, realizzate male, anzi, del tutto sbagliate!" E' adirata. Le dico che ha perfettamente ragione, metto a posto, saluto educatamente e me ne vado. Non si aspettava di vedere quello che ha visto, era impreparata. Avrebbe gradito delle foto addomesticate o finto trasgressive ed era in difficoltà, lei, creativa di professione messa davanti all'invenzione iconografica totalmente svincolata dalla committenza. Posso comprendere la sua frustrazione davanti al mio materiale. Mi è difficile capire e giustificare la sua rabbia.
E' la crisi, ci dice.
Otto febbraio del 1961. Pomeriggio con ospiti a casa, che è spoglia, giusto le poche cose essenziali dato che i miei sono giovani e squattrinati. Io ho pochi mesi e all'improvviso comincio a piangere disperatamente, non si capisce il perché. La sera continuo a gridare e a piangere; mia madre e mio padre non sanno più che fare e tentano di calmarmi mettendomi nel lettone insieme a loro. Non mi tranquillizzo, e alle due del mattino i miei, ormai allarmatissimi, si attaccano al telefono per cercare un medico. C'è chi non può venire, chi non risponde, chi vorrebbe ma è troppo occupato. Finalmente un dottore, il dottor Orsetti, si dice disponibile e arriva subito. La diagnosi è: otite e bronchite, e la cura consiste in gocce per le orecchie e un'iniezione di penicillina. Subito di corsa in farmacia e poi alla disperata ricerca di un'infermiera per l'iniezione. Dopo la puntura continuo a piangere. Anche mamma ora piange: è sfinita, ciò nonostante prova ad allattarmi al seno ma io sono bianco, inerte, muovo appena le labbra. Mio padre inorridito scopre che per sbaglio mi è stata fatta un'iniezione con un dosaggio per adulti: 1.000.000 invece dei 500.000 che aveva prescritto il medico. Subito si mette al telefono per cercare un pediatra. Nessuno può venire e decide di correre subito all'ospedale. Stiamo per uscire quando il dottor Orsetti, sempre lui, telefona per sapere come sto. Dice ai miei di darmi subito tre gocce di coramina, poi arriva trafelato. Sente che il battito del cuore è regolare. Papà e mamma si calmano, sono sollevati e felici e riescono finalmente a mangiare un boccone. Sembra tutto passato ma una volta a letto ricomincio a piangere: mi prendono in braccio e sono madido di sudore, dalla testa fuoriesce della schiuma bianca. Guardo i miei, li fisso con occhi disperati e loro in preda al terrore richiamano Orsetti che immediatamente torna da noi. E' la crisi, ci dice. E aggiunge che se la supero sopravviverò. I miei pregano. Disperazione totale. Mio padre deve per forza correre al lavoro e mia madre ha accanto la signora Giannantonio, una vicina di casa. Il medico continua a telefonare ogni mezz'ora per sapere come sto. Finalmente mi addormento e dormo per circa quattro ore. Poi mi sveglio, e per l'ennesima volta arriva il dottor Orsetti che mi visita e capisce che sto meglio: ho superato la crisi. Poi ho addirittura fame e mentre prendo il latte tanti amici vengono alla porta per sapere. Mamma e papà sono sfiniti ma sollevati. Io mangio e sorrido.
Emarginata
Si può essere artisti osannati, riveriti e nel contempo lamentarsi perchè non si è presi abbastanza in considerazione? La risposta al paradossale quesito è si. E' il caso di Patti Smith, celebre poetessa e cantautrice rock americana esplosa nel 1975 con il disco d'esordio "Horses". Sempre sulla breccia, discussa e idolatrata, da più di vent'anni la Smith incarna la tipica figura dell'intellettuale progressista americano. Stravagante nell'aspetto ricercatamente tardo hippy e moderatamente snob, la signora fa parte di un esclusivo circolo newyorchese composto da scrittori, musicisti, poeti, pittori, fotografi perlopiù antiamericani e rigorosamente macrobiotici. Intellettuali sempre critici verso il sistema che li nutre e li sostiene.
In Italia la Smith è ancora un mito ed è evidente come "la poetessa punk" sia attivamente promossa da un'elite giornalistica amica che le dedica un ampio spazio consistente in lunghi articoli e puntuali interviste nelle quali anche la più strampalata dichiarazione della "divina" viene presa per oro colato. Qualche esempio: "Faccio delle lunghe chiacchierate con San Francesco." Oppure: "A Firenze e a Bologna le donne dei brigatisti imprigionati venivano a confidarsi con me con la stessa devozione con cui si affidano le proprie ansie e i propri dolori a una santa". Da notare il termine "imprigionati" usato deliberatamente al posto del più corretto "detenuti". Il cronista, estasiato e partecipe, ci fa sapere che "Patti è da poco tornata a vivere a New York, nel quartiere di Soho, in un loft privo di lussi". Ma anche il più sprovveduto dei lettori sa che proprio vivere in un loft a Soho è un lusso per pochi privilegiati.
Patti intanto gira il mondo tenendo concerti e "reading" delle proprie poesie. Collabora con il mensile "Interwiew", fondato da Andy Warhol, e pubblica un doppio album antologico seguito a ruota da un cd intitolato Gung-Ho. Nelle librerie si può acquistare il suo libro di poesie "Il sogno di Rimbaud" edito in Italia da Einaudi. Sta anche scrivendo un libro intitolato "Picturing Robert" dedicato al celebre fotografo ed amico Robert Mapplethorpe ed "è sempre più presa dalla sua attività di pittrice: i suoi quadri sono molto apprezzati negli ambienti artistici newyorkesi, al punto che il Museum of Modern Art ha deciso di esporli all'interno di una mostra dedicata ad Antonin Artaud. Secondo il direttore del museo esiste una grande affinità tra le opere dei due artisti". Non va dimenticato che nel 1996 il Museo d'Arte Moderna di New York ha comprato, per la sua prestigiosa collezione, ben quattro opere firmate da Patti e nel gennaio 2003 l'Andy Warhol Museum di Pittsburgh le ha dedicato una grande mostra dal titolo "Strange Messanger". Patti Smith ha recentemente dichiarato: "Mi sento sempre più emarginata."
In Italia la Smith è ancora un mito ed è evidente come "la poetessa punk" sia attivamente promossa da un'elite giornalistica amica che le dedica un ampio spazio consistente in lunghi articoli e puntuali interviste nelle quali anche la più strampalata dichiarazione della "divina" viene presa per oro colato. Qualche esempio: "Faccio delle lunghe chiacchierate con San Francesco." Oppure: "A Firenze e a Bologna le donne dei brigatisti imprigionati venivano a confidarsi con me con la stessa devozione con cui si affidano le proprie ansie e i propri dolori a una santa". Da notare il termine "imprigionati" usato deliberatamente al posto del più corretto "detenuti". Il cronista, estasiato e partecipe, ci fa sapere che "Patti è da poco tornata a vivere a New York, nel quartiere di Soho, in un loft privo di lussi". Ma anche il più sprovveduto dei lettori sa che proprio vivere in un loft a Soho è un lusso per pochi privilegiati.
Patti intanto gira il mondo tenendo concerti e "reading" delle proprie poesie. Collabora con il mensile "Interwiew", fondato da Andy Warhol, e pubblica un doppio album antologico seguito a ruota da un cd intitolato Gung-Ho. Nelle librerie si può acquistare il suo libro di poesie "Il sogno di Rimbaud" edito in Italia da Einaudi. Sta anche scrivendo un libro intitolato "Picturing Robert" dedicato al celebre fotografo ed amico Robert Mapplethorpe ed "è sempre più presa dalla sua attività di pittrice: i suoi quadri sono molto apprezzati negli ambienti artistici newyorkesi, al punto che il Museum of Modern Art ha deciso di esporli all'interno di una mostra dedicata ad Antonin Artaud. Secondo il direttore del museo esiste una grande affinità tra le opere dei due artisti". Non va dimenticato che nel 1996 il Museo d'Arte Moderna di New York ha comprato, per la sua prestigiosa collezione, ben quattro opere firmate da Patti e nel gennaio 2003 l'Andy Warhol Museum di Pittsburgh le ha dedicato una grande mostra dal titolo "Strange Messanger". Patti Smith ha recentemente dichiarato: "Mi sento sempre più emarginata."
Musica e dischi
Sono un musicista italo olandese che vive a Roma.
Ti va di ascoltare la mia musica?
Ciao.
David
Ciao David, complimenti per la tua musica, vi trovo una toccante leggerezza e un'eccellente sensibilità espressiva. Come etichetta siamo indirizzati solitamente verso altro, ma mi piacerebbe sapere se hai altro da parte, se finora hai pubblicato qualcosa, un tuo album.
A risentirci
Loris Furlan
p.s. ti ho risposto di getto durante l'ascolto, bellissima anche la lunga "Before the advent", in territori soft-psych-prog, in fondo non lontani da certe storie Lizard
Hei Loris, ciao.
Grazie dei complimenti, mi hanno fatto un gran piacere.
No, non ho mai pubblicato niente a mio nome. Ho suonato in un bel pò di dischi altrui, questo è vero, ma le mie cose, quelle che hai ascoltato, non le ho mai messe su album. Ho un altro pò di brani, come puoi vedere sul link che ti mando. Sono registrati con cura ma con mezzi spartani e quindi alcuni fruscii, qui e lì, sarebbero da eliminare.
Avevo sentito parlare una sera qui a Trastevere della tua etichetta ed eccomi qua.
Ciao
David
Trastevere....già mi immagino certi bei posti, e dire che non vengo a Roma da un sacco di anni.
Chissà chi te ne ha parlato?
Comunque ok, è un piacere conoscere un musicista come te, con del talento nitido, mica le fregnacce televisive, con tanta anima da portare in superficie.
Lo so che può sembrare banale, ma ti direi che se il tuo progetto avesse nome e parvenze da band potrebbe trovare qualche riscontro in più. Nell'inevitabile immaginario che l'affollato mondo internetizzato è un dettaglio non trascurabile, almeno per l'ambito progressive.
Poi è chiaro che la sostanza è quella musicale, e quella è davvero buona.
Dunque quanti brani avresti? Magari ci scappa di farci un dischetto, giusto per fissare certe emozioni in una fotografia.
Ciao
Loris
A Trastevere, a cena, si parlava di dischi, gruppi, etichette indipendenti. Si nominavano artisti, produttori, valide realtà di nicchia.
Per il mio progetto, che negli anni '80 aveva un nome, Argonauts, mi servo da sempre di alcuni amici musicisti (fidati e pazienti) che intervengono seguendo impulsi personali e mie dirrettive.
Ho suonato in diversi gruppi ed ogni volta far convivere diverse anime musicali è stato veramente difficile, forse impossibile. Dunque, ho detto: ora me la suono e me la canto da solo.
Ho suonato forse troppo dal vivo, in Europa, anche in America. Sino all'esaurimento. Ora nel chiuso della mia stanza creo senza il pensiero angosciante di dover suonare i miei pezzi davanti ad un pubblico.
Grazie ancora per gli apprezzamenti.
A presto.
Ciao
David
Intuivo che ci fosse anche mestiere, esperienza e percorsi già battuti da parte tua.
Il mio pensiero e la filosofia alla Lizard è che la libertà di pensare, comporre, realizzare la musica che sta dentro la propria autenticità e propria poesia debba essere intoccabile. Non c'è nessun prezzo che giustificare una via diversa.
E' chiaro che alla Lizard siamo poveri e squattrinati, ma felici per il nostro essere, consapevoli che la pagnotta vada guadagnata prostituendosi altrove (nel mio caso alla Confartigianato da 30 anni)
Difficile, improbabile, opinabile, che possa capitare qualche convergenza astrale diversa, di questi tempi poi, dominati da immagine, devastazione mediatica con relativi X factor e porcheria varia.
Per quanto riguarda la questione band, non intendevo il dover costituire un gruppo mettendosi in gioco in tal forma, ma solo un piccolo escamotage che possa offrire l'immagine di gruppo al tuo progetto. Come da noi Raven Sad alias Samuele Santanna, oppure Nichelodeon e InSonar alias Claudio Milano, Genoma alias Alessandro Serravalle. Un progetto del tutto personale (che può rimanere da studio, senza palchi e concerti) in sinergia aperta con altri musicisti, come nel tuo caso, con un nomignolo fascinoso-artistico che identifichi il progetto. In fondo la musica poi sa viaggiare anche attraverso e oltre le nostre persone. Ma ripeto, in fondo è una sottigliezza per attecchire di più, forse più affine al mio immaginario musicale che ad obiettivi peculiari di ricettività di un potenziale disco.
Non cambierebbe un granchè, ormai si vende quasi nulla, e un poco più del nulla non cambierebbe granchè. L'obiettivo fondamentalmente è far girare i cd per far conoscere, ascoltare la musica che proponiamo. Altra cosa è consolidarsi come Porcupine Tree e poi diventare un progetto "solista" come Steven Wilson. Ma magari nel piccolo...
Vabbeh dai, sono riflessioni, intanto teniamoci in contatto.
ciao
Loris
Ciao Loris,
sto leggendo alcune interviste da te rilasciate. Dici cose interessanti, condivisibili, mai banali.
E stavo riascoltando un pò di miei pezzi registrati negli ultimi anni per vedere di spedirti qualcosa.
Ho appena caricato su SoundCloud un lungo brano scritto a metà anni '80. Ne registrai varie versioni, fino a giungere a questa: essenziale, quasi scarnificata. Parla di una una donna che esce di prigione dopo vent'anni (ed era innocente).
Ho ascoltato gli artisti della Lizard e devo dire che la qualità è alta. Cats on the roof mi piacciono per suoni e atmosfere rarefatte. Ma anche altri, i Magnolia, ad esempio.
Se ho ben capito tu sei in Veneto, vero? Hai in programma di scendere a Roma?
Comunque. Se faremo qualcosa assieme per me sarà una cosa assai bella. Le tue parole nei riguardi della mia musica sono state molto incoraggianti, grazie.
Ciao, a presto
David
Ciao David, mi fa piacere se hai voluto approfondire un pò di identità Lizard. Non è frequente che un musicista cerchi di conoscere meglio le persone che stanno dietro ad una piccola appassionata etichetta. Di solito l'ego del musicista sta al centro, e spesso non si rende conto che in fondo ha tanto motivo di essere quanto esista anche la figura dell'ascoltatore, piccole etichette incluse, che di certo non ci si dedicano per soldi (chi cerca di farlo ha inevitabilmente una buona cosa di paglia, ed è scarsamente etico che si cerchi di guadagnare speculando sulla diffusa passione di musicisti che vivono la musica per puro intento creativo ed espressivo).
Sì, vivo in Veneto da sempre, tra Treviso e Venezia. A Roma mi pare di esserci stato nel 1982, poco prima di partire per il servizio militare. Lo so che è una colpa grave, e penso che dovrei rimediare, anche se non l'ho in previsioni imminenti. Vedremo prima o poi di convincere i figli a farci un giro.
A risentirci comunque, e grazie per l'altro brano (vent'anni di che?), stessa stoffa (buona e raffinata) degli altri, soprattutto per il bel respiro.
Loris
Ciao Loris, ti avevo scritto qualche giorno fa, forse la mail è finita nella spam si è persa e non l'hai letta, rieccomi.
Come stai? Buona estate la tua?
Io ero ispirato e ho lavorato a lungo ad un brano che iniziai ben quattro anni fa (sono lentissimo, lo so). Finalmente l'ho terminato e te lo propongo in anteprima. Si chiama Fearful heart.
Dimmi che ne pensi. E ci tengo a sapere da te se l'idea di una collaborazione tra noi è ancora viva e pulsante.
Con stima
David
Ciao David, tranquillo ci sono e ho ricevuto la mail, solo che ero ancora in ferie (fino ad oggi, è drammatico rientrare di lunedì), tra viaggi etruschi e escursioni giornaliere.
Ho ascoltato Fearful heart, la stoffa (nel senso della sensibilità, del respiro, dell'espressività) è sempre buonissima. Confermo le mie prime impressione sulla tua musica.
In quanto alla collaborazione c'è sempre il solito conflitto, non di interessi (magari.....o forse meglio di no): da una parte l'amore per certa musica più autentica ed emozionale, dall'altro la consapevolezza che quando si esula da stereotipi e generi più convenzionalmente intesi non si vende quasi nulla, e non si coprono nemmeno parte delle spese. E allora non ho modo di prometterti nulla, ma si rimane in contatto e magari in futuro qualcosa trova modo di concretizzarsi.
Con stima ricambiata
Loris
Storia di un plagio
Due fotografie. Due fotografie iconograficamente similissime, concettualmente identiche perchè entrambe pervase da una buona dose di humor noir. Entrambe realizzate con cura e utilizzando gli stessi elementi: uno zampone (cotechino), un orologio, un piatto oblungo. Direbbe Breton: "Una raggelata allucinazione sottratta al tempo."
Le due immagini, gemelle nel pensiero obliquo e dissacratorio e sorelle nella forma, non sono però dello stesso autore. Un caso, si dirà, può succedere. No, non deve succedere. Non almeno quando una delle due foto è pubblicata tre mesi dopo l'altra e ne mantiene, seppur ingraziosite, le caratteristiche iconografiche. La volontà di copiare, anzi, il plagio, risulta poi conclamato quando la foto non originale viene utilizzata da una nota casa produttrice di orologi per pubblicizzare il proprio prodotto su scala nazionale.
Il caso è emblematico e dimostra come molti autori di opere originali non vengano in nessun modo tutelati e incoraggiati ma anzi, spesso, danneggiati e beffati.
Ci si chiede infine perchè un'agenzia pubblicitaria a corto di idee e profumatamente pagata dal committente per il proprio impegno "creativo" debba appropriarsi indegnamente del lavoro altrui.
Egregio signor D'Amore, ho preso in esame il materiale da Lei trasmessomi con Sua del 9.10.2001.
Il caso rientra nella fattispecie del plagio ed è meritevole di tutela non soltanto civile (onde ottenere la cessazione dell'abuso e il risarcimento del danno materiale) ma anche penale (onde ottenere la condanna dell'autore del delitto e il risarcimento del danno morale).
Mi tenga informato sulle sue determinazioni.
Cordiali saluti
Italo Tomassoni
Avvocato patrocinante in Cassazione
Le due immagini, gemelle nel pensiero obliquo e dissacratorio e sorelle nella forma, non sono però dello stesso autore. Un caso, si dirà, può succedere. No, non deve succedere. Non almeno quando una delle due foto è pubblicata tre mesi dopo l'altra e ne mantiene, seppur ingraziosite, le caratteristiche iconografiche. La volontà di copiare, anzi, il plagio, risulta poi conclamato quando la foto non originale viene utilizzata da una nota casa produttrice di orologi per pubblicizzare il proprio prodotto su scala nazionale.
Il caso è emblematico e dimostra come molti autori di opere originali non vengano in nessun modo tutelati e incoraggiati ma anzi, spesso, danneggiati e beffati.
Ci si chiede infine perchè un'agenzia pubblicitaria a corto di idee e profumatamente pagata dal committente per il proprio impegno "creativo" debba appropriarsi indegnamente del lavoro altrui.
Egregio signor D'Amore, ho preso in esame il materiale da Lei trasmessomi con Sua del 9.10.2001.
Il caso rientra nella fattispecie del plagio ed è meritevole di tutela non soltanto civile (onde ottenere la cessazione dell'abuso e il risarcimento del danno materiale) ma anche penale (onde ottenere la condanna dell'autore del delitto e il risarcimento del danno morale).
Mi tenga informato sulle sue determinazioni.
Cordiali saluti
Italo Tomassoni
Avvocato patrocinante in Cassazione
Altro plagio
Roma, Aprile 2001. Bella giornata, c'è il sole e sto percorrendo in sella al mio motorino il Lungotevere Flaminio. Supero una serie di cartelloni pubblicitari e.....accidenti! Inchiodo e torno indietro. Avevo visto bene: la copia di una mia fotografia campeggia perentoria su di un manifesto. E' un'imitazione davvero spudorata e chi l'ha realizzata non si è nemmeno preoccupato di apportare delle sostanziali modifiche. Si tratta dell'immagine di una bambina con le trecce sulla cui bocca e sui cui occhi sono stati applicati dei cerotti; la voce e la vista della bimba sono annullate. Lo spettatore è aggredito da un senso di ansia e di angoscia perchè i cerotti, invece di proteggere e di curare, impediscono di parlare, di respirare, di vedere. Un'icona di dolente denuncia che non ha bisogno di didascalia. Sarebbe tutto perfetto, peccato che l'ideatore e l'autore della foto originaria sia io.
Grazie lo stesso
Mio padre era scrittore. Ha pubblicato quattro romanzi, un'opera teatrale e diversi racconti, raggiungendo una certa notorietà ma non il successo che meritava. Nei primi anni '80, rileggendo un proprio racconto dal titolo "Quel dì della crocifissione", intuì che la trama poteva essere utilizzata come soggetto di un film. Protagonista della storia è un Ponzio Pilato che, amaro, disilluso e ormai non più giovane, si tormenta perchè l'amata moglie Caudilla non può dargli il figlio da lui tanto atteso e desiderato. Sullo sfondo del dramma personale di Pilato si sta svolgendo un dramma di proporzioni ben più ampie: sotto il peso di una croce un uomo si sta avviando al Calvario.
Mio padre si convinse che l'unico attore in grado di interpretare la controversa figura del governatore romano fosse Nino Manfredi e quindi lo contattò proponendogli il racconto. Il celebre attore si disse disposto a leggere il breve scritto che gli fu quindi immediatamente consegnato. Dopo circa un mese, non avendo ancora ricevuto risposta, mio padre telefonò a Manfredi che gli disse: "Mi dispiace ma non fa per me, il personaggio di Pilato non è nelle mie corde, grazie lo stesso."
La delusione di mio padre si tramutò in sbigottimento quando di li a poco uscì un film intitolato "Secondo Pilato". Regia di Luigi Magni. Attori protagonisti: Nino Manfredi nella parte di Ponzio Pilato e Stefania Sandrelli in quella di Caudilla.
Mio padre si convinse che l'unico attore in grado di interpretare la controversa figura del governatore romano fosse Nino Manfredi e quindi lo contattò proponendogli il racconto. Il celebre attore si disse disposto a leggere il breve scritto che gli fu quindi immediatamente consegnato. Dopo circa un mese, non avendo ancora ricevuto risposta, mio padre telefonò a Manfredi che gli disse: "Mi dispiace ma non fa per me, il personaggio di Pilato non è nelle mie corde, grazie lo stesso."
La delusione di mio padre si tramutò in sbigottimento quando di li a poco uscì un film intitolato "Secondo Pilato". Regia di Luigi Magni. Attori protagonisti: Nino Manfredi nella parte di Ponzio Pilato e Stefania Sandrelli in quella di Caudilla.
L'esperto
Nei primi anni '90 sono andato alla redazione del Venerdì di Repubblica con la mia cartella sottobraccio. Il responsabile del settore fotografia mi ha accolto visibilmente seccato perchè ero li senza aver preso un appuntamento. Comunque mi ha fatto accomodare nel suo ufficio dove ha dato una rapidissima occhiata alle mie foto. Poi freddamente mi ha detto che gli armadi e i cassetti della redazione erano pieni di immagini simili, peraltro inutilizzate. "Stento a crederci", ho esclamato. "Glielo garantisco", mi ha risposto. "Immagini comuni come le sue ne abbiamo tante".
Ancora non riesco a credere che un rinomato esperto e studioso dell'immagine fotografica definisse comuni, quindi banali, fotografie come "Linguaggio successivo", da me realizzata nel 1989, che rappresenta una donna nell'atto di partorire una bomba a mano. E' un'immagine forse sgradevole e difficile da digerire, evocativa e visionaria, imbarazzante e persino tragica. Ma non banale.
Ancora non riesco a credere che un rinomato esperto e studioso dell'immagine fotografica definisse comuni, quindi banali, fotografie come "Linguaggio successivo", da me realizzata nel 1989, che rappresenta una donna nell'atto di partorire una bomba a mano. E' un'immagine forse sgradevole e difficile da digerire, evocativa e visionaria, imbarazzante e persino tragica. Ma non banale.
Quadrupla lama
Nella vita succedono le cose più impensabili. Può capitarti, ad esempio, di essere definito un giovane artista emergente. A quarantadue anni suonati. E' una situazione comica. Emergente da cosa poi? Dalla palude dell'anonimato? E per fare cosa? Per respirare l'aria pura dela notorietà? Emergere per poter finalmente entrare nel ghetto denominato "Arte Ufficiale"? Ma se è un posto dove tutti usano tutti e quando non servi più ti buttano nel cesso e tirano la catena.
A te, che hai quarantadue anni e ne hai viste e vissute di tutti i colori, può capitare di essere invitato a partecipare ad una mostra in compagnia di ventenni alle prime armi che quando gli dici la tua età ti guardano increduli convinti che li stai prendendo in giro.
Può succedere che un rinomato critico ti chiami perchè una grande casa finlandese produttrice di schiuma da barba sta lanciando sul mercato italiano un nuovissimo, rivoluzionario rasoio a quadrupla lama. A questo punto scatta spontanea la domanda: "Cosa c'entra un critico d'arte con un rasoio a quadrupla lama?" Risposta: I responsabili della celebre compagnia finnica hanno affidato al rinomato critico-curatore l'organizzazione di una grande mostra in cui una selezione di "giovani" realtà dell'arte italiana si misura iconograficamente con il rasoio in questione. Il gioco è fatto. Con mossa repentina e spudorata l'operazione commerciale diventa evento culturale.
Insomma, si tratta di lavorare gratis alla realizzazione di una campagna pubblicitaria tesa al lancio di un nuovo prodotto sul mercato. Ti propongono di offrire la tua opera al fine di pubblicizzare e vendere un rasoio. Chiedo spiegazioni. Mi viene assicurato che è un'occasione da non perdere: il mio nome godrebbe di grande visibilità grazie anche al prestigio del luogo che ospita la mostra e al catalogo destinato a fare il giro del mondo. Accetto e mi viene garantito il rimborso delle spese da me sostenute per realizzare l'opera nonchè il possibile acquisto, da parte del committente, dell'opera stessa. Mi pare un'offerta ragionevole. Mi metto al lavoro e nel giro di una settimana realizzo una piccola serie fotografica che però viene giudicata troppo cruda e piena di contenuti discutibili, se non censurabili: il committente potrebbe lamentarsi ed è meglio evitare qualsiasi strascico polemico.
Con lungimiranza avevo previsto tutto e, oltre alle immagini più "dure" mi ero cautelato realizzando qualcosa che, senza perdere nulla a livello qualitativo, potesse essere esposto in una mostra aperta ad un pubblico di ogni età.
Al termine dell'esposizione mi viene recapitato qualche catalogo e un rotolo con le mie foto. Niente altro. Tutti scomparsi. Ma non si era parlato di un rimborso spese? E l'opera non doveva, con buona probabilità, essere acquistata dal committente?
A te, che hai quarantadue anni e ne hai viste e vissute di tutti i colori, può capitare di essere invitato a partecipare ad una mostra in compagnia di ventenni alle prime armi che quando gli dici la tua età ti guardano increduli convinti che li stai prendendo in giro.
Può succedere che un rinomato critico ti chiami perchè una grande casa finlandese produttrice di schiuma da barba sta lanciando sul mercato italiano un nuovissimo, rivoluzionario rasoio a quadrupla lama. A questo punto scatta spontanea la domanda: "Cosa c'entra un critico d'arte con un rasoio a quadrupla lama?" Risposta: I responsabili della celebre compagnia finnica hanno affidato al rinomato critico-curatore l'organizzazione di una grande mostra in cui una selezione di "giovani" realtà dell'arte italiana si misura iconograficamente con il rasoio in questione. Il gioco è fatto. Con mossa repentina e spudorata l'operazione commerciale diventa evento culturale.
Insomma, si tratta di lavorare gratis alla realizzazione di una campagna pubblicitaria tesa al lancio di un nuovo prodotto sul mercato. Ti propongono di offrire la tua opera al fine di pubblicizzare e vendere un rasoio. Chiedo spiegazioni. Mi viene assicurato che è un'occasione da non perdere: il mio nome godrebbe di grande visibilità grazie anche al prestigio del luogo che ospita la mostra e al catalogo destinato a fare il giro del mondo. Accetto e mi viene garantito il rimborso delle spese da me sostenute per realizzare l'opera nonchè il possibile acquisto, da parte del committente, dell'opera stessa. Mi pare un'offerta ragionevole. Mi metto al lavoro e nel giro di una settimana realizzo una piccola serie fotografica che però viene giudicata troppo cruda e piena di contenuti discutibili, se non censurabili: il committente potrebbe lamentarsi ed è meglio evitare qualsiasi strascico polemico.
Con lungimiranza avevo previsto tutto e, oltre alle immagini più "dure" mi ero cautelato realizzando qualcosa che, senza perdere nulla a livello qualitativo, potesse essere esposto in una mostra aperta ad un pubblico di ogni età.
Al termine dell'esposizione mi viene recapitato qualche catalogo e un rotolo con le mie foto. Niente altro. Tutti scomparsi. Ma non si era parlato di un rimborso spese? E l'opera non doveva, con buona probabilità, essere acquistata dal committente?
Dieci minuti
Luglio 2001, parto da Roma per stare un paio di mesi a casa di mio fratello Jan che abita ad Harlem, New York. Porto tutto il mio materiale: foto, curriculum, cataloghi di mostre, ecc. Voglio trovare un gallerista che mi rappresenti, qualcuno che apprezzi, valorizzi e promuova la mia arte.
Nonostante il caldo asfissiante inizio di buona lena un lungo e faticoso pellegrinaggio di galleria in galleria. Gli addetti ai lavori sono decisamente scettici e non mi prendono nemmeno in considerazione: quando va bene guardano velocemente e distrattamente le mie cose perchè hanno altro a cui pensare. Molte gallerie cominciano a chiudere per la pausa estiva e quindi mi affretto. Dopo decine di tentativi fallimentari l'umore non è dei migliori, non sono più fresco e baldanzoso come all'inizio, ma continuo. Non è facile essere di continuo sotto esame: in pochi minuti, occhi spesso distratti soppesano il tuo lavoro. Il lavoro di una vita.
Un giorno entro nella Charles Riva Gallery. Il titolare in persona gentilmente mi concede dieci minuti del suo tempo. Dopo aver visionato tutto il materiale si dichiara interessato alle foto, quelle più audaci, e mi dice: "A Febbraio ho una mostra sul sesso, ti va di partecipare?" Gli dico di si e lui con la massima attenzione sceglie tre scatti dalla moltitudine di provini che ha davanti a se. Mi istruisce: "Noi rimarremo in contatto via mail e quando sarà il momento mi spedirai un tubo con tre stampe numerate e firmate. Esporrò solo una di esse, le altre due saranno tenute in una cartella nel caso qualcuno fosse interessato a vedere di più." Sembra un tipo serio, deciso, pragmatico. Tutto si è svolto in pochi minuti, esco all'aperto contento ma con un inspiegabile senso di precarietà. Partecipare ad una mostra in una nota galleria di Chelsea è una grande occasione: finalmente avrei l'occasione di far vedere il mio lavoro ad un vastissimo pubblico: New York è una grande e prestigiosa vetrina internazionale.
Una volta tornato a Roma scrivo a Charles per salutarlo. Nessuna risposta. Riprovo dopo una settimana. Niente. Scrivo una terza volta, una quarta. Ho chiesto a Jan di andare a chiedere spiegazioni in galleria, a Chelsea. L'ha fatto e un assistente di Riva gli ha promesso di riferire tutto al capo. Era il 2001 e da allora non ho più avuto notizie della mia mostra newyorkese.
Poi ti chiamo
Ho deciso di mettermi in contatto con alcuni critici d'arte. Già in passato ho avuto a che fare con questa strana categoria di persone e i risultati sono stati molto deludenti. Ricordo bene, ad esempio, Gabriella Dalesio, una nota critica d'arte romana che, dopo avere visto le mie foto, mi consigliò vivamente di andare da uno psicologo: "Ti devi curare" disse.
Visto che i galleristi da più di trent'anni continuano a mostrarsi non interessati al mio lavoro mi sono detto: ritentiamo con i critici e vediamo cosa succede. Ho cercato e trovato alcuni indirizzi di posta elettronica, ho scritto una brevissima lettera di presentazione corredata da immagini, l'ho spedita. Una ventina di critici, tra i quali Vittorio Sgarbi, Vincenzo De Bellis, Mario Codognato, Beatrice Buscaroli e Cecilia Casorati, non mi hanno nemmeno risposto palesando un totale disinteresse. Raffaele Gavarro mi ha scritto che, si, potevo spedirgli delle foto. L'ho fatto ma non ho mai ricevuto risposta. Luca Beatrice, al quale avevo spedito il link del mio sito mi ha scritto: "Ciao, ho visto ieri il tuo sito un po' rapidamente. Non mi sembra un brutto lavoro, magari qualche ingenuità ma ci sta benissimo." Ho poi scritto a Lorenzo Canova chiedendogli se volesse vedere i più recenti sviluppi della mia arte e mi ha detto: "Ti conosco da parecchio tempo, manda pure per favore, grazie!" Mi è subito parso cordiale e disponibile. Ci siamo scambiati i recapiti telefonici e, dopo un paio di mesi, tra un impegno e l'altro, siamo riusciti finalmente ad incontrarci all'inaugurazione di una mostra in una galleria romana dove mi ha ribadito di conoscere il mio lavoro, di aver visto alcune mie mostre e di essere disponibile ad una eventuale collaborazione. Gli ho consegnato un cd con dipinti, disegni e foto, dagli anni '80 fino ad oggi. Mi ha detto: "Dammi il tempo di dare un'occhiata al cd e poi ti chiamo." E' passata una settimana. Due settimane. Gli ho scritto chiedendogli se avesse dato un'occhiata al cd. Nessuna risposta. Ho aspettato altri quindici giorni e gli ho riscritto. Niente, scomparso. Che spiegazione posso dare? E' defunto? Ha visto le mie immagini e si è spaventato? Le ha reputate indegne? Offensive? Si è scandalizzato? Le ha trovate insignificanti? Stupide? E perchè non me lo ha detto?
Oggi, in data 05/10/2011, ricevo un messaggio: "David scusa, avevo perso i tuoi recapiti, ma eccomi qui, scusami tanto, il tuo cd non mi si è aperto, me lo puoi rimandare per piacere? grazieeee Lorenzo". Ho masterizzato un nuovo cd e gliel'ho spedito. Dopo qualche giorno mi risponde di averlo ricevuto e visionato. "Molto interessante", scrive. Da quel momento in poi Lorenzo Canova scompare. Mai più visto nè sentito.
Visto che i galleristi da più di trent'anni continuano a mostrarsi non interessati al mio lavoro mi sono detto: ritentiamo con i critici e vediamo cosa succede. Ho cercato e trovato alcuni indirizzi di posta elettronica, ho scritto una brevissima lettera di presentazione corredata da immagini, l'ho spedita. Una ventina di critici, tra i quali Vittorio Sgarbi, Vincenzo De Bellis, Mario Codognato, Beatrice Buscaroli e Cecilia Casorati, non mi hanno nemmeno risposto palesando un totale disinteresse. Raffaele Gavarro mi ha scritto che, si, potevo spedirgli delle foto. L'ho fatto ma non ho mai ricevuto risposta. Luca Beatrice, al quale avevo spedito il link del mio sito mi ha scritto: "Ciao, ho visto ieri il tuo sito un po' rapidamente. Non mi sembra un brutto lavoro, magari qualche ingenuità ma ci sta benissimo." Ho poi scritto a Lorenzo Canova chiedendogli se volesse vedere i più recenti sviluppi della mia arte e mi ha detto: "Ti conosco da parecchio tempo, manda pure per favore, grazie!" Mi è subito parso cordiale e disponibile. Ci siamo scambiati i recapiti telefonici e, dopo un paio di mesi, tra un impegno e l'altro, siamo riusciti finalmente ad incontrarci all'inaugurazione di una mostra in una galleria romana dove mi ha ribadito di conoscere il mio lavoro, di aver visto alcune mie mostre e di essere disponibile ad una eventuale collaborazione. Gli ho consegnato un cd con dipinti, disegni e foto, dagli anni '80 fino ad oggi. Mi ha detto: "Dammi il tempo di dare un'occhiata al cd e poi ti chiamo." E' passata una settimana. Due settimane. Gli ho scritto chiedendogli se avesse dato un'occhiata al cd. Nessuna risposta. Ho aspettato altri quindici giorni e gli ho riscritto. Niente, scomparso. Che spiegazione posso dare? E' defunto? Ha visto le mie immagini e si è spaventato? Le ha reputate indegne? Offensive? Si è scandalizzato? Le ha trovate insignificanti? Stupide? E perchè non me lo ha detto?
Oggi, in data 05/10/2011, ricevo un messaggio: "David scusa, avevo perso i tuoi recapiti, ma eccomi qui, scusami tanto, il tuo cd non mi si è aperto, me lo puoi rimandare per piacere? grazieeee Lorenzo". Ho masterizzato un nuovo cd e gliel'ho spedito. Dopo qualche giorno mi risponde di averlo ricevuto e visionato. "Molto interessante", scrive. Da quel momento in poi Lorenzo Canova scompare. Mai più visto nè sentito.
Cancelli e artisti
Un fine Luglio del 2011, a Roma. Strade deserte, sole a picco, gran caldo. Vado a proporre il mio lavoro ad uno spazio aperto da poco, la galleria Limen, quartiere San Lorenzo. Mi muovo in motorino, arrivo in sei minuti. La galleria dà sulla strada, c'è un grande cancello con un citofono. Premo il bottone e arriva una giovane donna. Le chiedo se c'è il direttore e lei, che è una sua assistente, mi dice che è molto impegnato. Mi presento e le dico che vorrei mostrargli il mio lavoro e sembra un dialogo tra carcerati perchè parliamo attraverso le sbarre, il cancello rimane chiuso, io fuori lei dentro. Non mi invita ad entrare, non le viene in mente che potrebbe, per cortesia, mostrarmi la galleria, presentarmi al direttore. Non pensa che per me questo dialogo frettoloso fatto attraverso le sbarre potrebbe essere offensivo e umiliante. Non è minimamente incuriosita da me e intuisco che le persone che citofonano sono immediatamente catalogate in due categorie: utili e inutili. Io, quindi, rimango fuori. Eppure le ho detto di essere un artista, e non sono nemmeno un quindicenne che (erroneamente) si può liquidare con frettolosa sufficienza. Se fossi un venditore ambulante di innaffiatoi bucati mi dedicherebbe più attenzione. Nonostante tutto sorrido ma le dico che, con tutta franchezza, parlare attraverso delle sbarre mi sembra impersonale e molto malinconico. La mia frase non sortisce alcun effetto. Il cancello rimane chiuso a proteggere l'inarrivabile direttore dallo scocciatore di turno. Mi chiedo. Ma i galleristi non dovrebbero essere quelli che promuovono ed espongono le opere degli artisti? Ma se non vogliono conoscere gli artisti e di conseguenza le loro opere che cosa espongono nella propria galleria? E se non sono interessati a vedere nuove opere e a conoscere nuovi artisti come fanno a sapere cosa succede in giro? Se poi, nello specifico, andiamo a leggere il manifesto della galleria Limen c'è da scompisciarsi. Riporto alcune frasi: "Limen.....soglia più che linea di confine" (e infatti mi hanno fatto rimanere sulla soglia)...."invita ai rapporti, agli incontri" (quali?). "Limen come inizio, principio, invito alla conoscenza" (non parevano poi tanto desiderosi di fare la mia conoscenza). "Limen suggerisce l'arricchimento delle identità attraverso la pratica e la valorizzazione delle differenze. Distinguere per unire. Attraversare lo specchio, la soglia tra il passato e il futuro, dubitando delle certezze provenienti dal passato, valorizzando le domande proiettate nel futuro." Bellissime, vuote, inutili parole. E tragicamente comiche poi, perchè false.
Foto e performance
Ora gridano al miracolo. Tutti i critici, i galleristi e i collezionisti che avevano ignorato la mia opera ora si inchinano davanti all'opera della Beecroft e fanno a gara per esporla, recensirla, possederla. E tutti si danno un gran daffare enfatizzando parole, frasi e concetti di micidiale banalità. Qualche esempio: "Vanessa Beecroft, artista genovese considerata tra le più innovative nel panorama contemporaneo ha detto, durante una conferenza stampa che ha preceduto la performance, che le foto delle modelle nude accanto ad opere d’arte saranno utilizzate per la copertina del suo secondo volume autobiografico che conterrà tutte le sue opere. Le modelle nude sono a testimoniare l’antico legame della figura umana con il blocco, con l’opera, solo che questa volta la figura umana è vita". "Carrara è un luogo speciale, la città, le sue montagne, gli stessi studi Nicoli trasudano storia e in questo contesto io riprendo le mie ragazze. L’accostamento forzato tra la vita e il calore delle modelle e il freddo e l’immobilità della pietra mette in risalto la malinconia e il fascino della scultura". "Ogni performance di Vanessa Beecroft è una riflessione sull'identità femminile e più in generale sulla natura e sul mistero dell'esistenza. Ma cosa ci fa una come lei fra le forme classiche di gessi che possono essere una Venere del Canova o un Giovanni Battista del Mochi?" "Mi interessa molto esplorare la figura viva, la carne, contrapposta alla staticità della scultura, anche a una scultura mortuaria" spiega. Ogni performance di Vanessa Beecroft affonda le proprie radici nel complesso mondo interiore dell’artista, ma rimane saldamente ancorata al nostro tempo come riflessione sull’identità femminile, sulla natura e sul mistero dell’esistenza umana". Altrove si legge: "L'evento, segretissimo fino all'ultimo momento, tanto da mandare in panne l'ufficio stampa, ha avuto come protagoniste le sue immancabili modelle nude, scelte dopo un casting con 70 donne la maggior parte delle quali toscane. Donne "normali", dunque, collocate tra sculture antiche e moderne in marmo, per mescolare perfezione e classicità con la bellezza comune, con le sue imperfezioni e, perché no, con una propria "perfetta" unicità. I corpi nudi, sporcati di polvere bianca, sdraiati, seduti, in piedi, hanno intessuto un dialogo silenzioso e assorto con l'antico, davanti a un pubblico oramai esente dall'arrossire in quanto avvezzo alle nudità delle performers che tanto hanno fatto la fortuna dell'artista." E ancora: "Nei suoi tableaux vivants l’artista riesce a indagare le più profonde e universali istanze dell’essere umano utilizzando un linguaggio a metà strada fra classico e contemporaneo, fra sacra rappresentazione, teatro, fotografia, pittura e moda." Le descrizioni dell'opera continuano più o meno su questi toni: "In piedi, seduti, accucciati. I suoi nudi sono freddi e distanti. Ma incantevoli e naturali. Le modelle tengono i piedi nella polvere del marmo dello studio Nicoli di Carrara. Trasmettono silenzi mentre i minuti passano e diventano ore. E' l'ultima performance di Vanessa Beecroft. Corpi che non dialogano, pianeti solitari e misteriosi." Ci fanno sapere poi che la stessa artista si è da poco data anche alla scultura e (come per miracolo) i suoi marmi sono già stati prenotati dalle biennali e triennali di mezzo mondo. Mica male però. Tutto così, al volo, a scatola chiusa, senza una ventina d'anni di lavoro, gavetta, sudore, tirocinio. Caspita che brava! Leggo un'altro articolo: "L'occasione è stata un pretesto per mescolare i canoni estetici inarrivabili delle fashion model a quelli comuni, mostrando come spesso la bellezza non sia necessariamente perfezione delle forme, ma la particolarità che rende unico ogni corpo." Concetto interessante; da soli non saremmo mai arrivati a formularlo. Quando poi all'artista viene posta una domanda che le dovrebbe creare qualche imbarazzo è tutto un bluff: "Il corpo delle donne è inflazionato: pubblicità, televisione, passerelle, perché usare ancora il nudo per l'arte? "Perché questo scava nel mio essere, è autobiografico, è ciò che mi colpisce: riguarda l'espressione artistica e anche la sociologia". Se un giorno io dicessi che i miei nudi scavano nel mio essere e riguardano anche la sociologia penso che mi spernacchierebbero. Perchè le frasi generiche, quelle che dicono tutto e nulla, buone per tutte le occasioni vanno spernacchiate. A Vanessa non succede. Per lei adorazione, inchini e baciamano. Tutto in chiave fashion-trendy. In alcune interviste la Beecroft lamenta il fatto di non essere un'artista politically correct ma non si capisce cosa voglia intendere con questo. Perchè? Pensa veramente di dire cose scorrette? Lei? Che crea immagini mielose, piacione e sempre ultra modaiole? E che ha dietro, tra gli altri, la rivista Vogue, ovvero un colosso, caposaldo della divulgazione della moda nel mondo? Leggere per credere: "Vogue.it lancia un casting online per partecipare a VB Marmi, prossima performance di Vanessa Beecroft. Registrandosi e facendo l'upload dei vostri lavori (non sono richieste foto di nudo, ma le foto devono essere possibilmente a figura intera e deve vedersi il volto), potrete essere scelte per diventare una delle modelle che poseranno per l'iconica artista a giugno. Saranno scelte otto/dieci performers tra i 20 e i 50 anni. La performance sarà in presenza di pubblico e durerà tre ore. Le donne poseranno nude e avranno trucco e acconciature realizzate da un make up artist e da un hair stylist, secondo le istruzioni di V.B. Le selezionate riceveranno istruzioni dall’artista per la loro dislocazione nello spazio. Non potranno parlare, dovranno rimanere in piedi, o sedute, spostandosi con movimenti minimi e non bruschi, mantenendo un atteggiamento di distanza con il pubblico. Il casting verrà condotto a fine maggio da Vanessa Beecroft insieme al direttore di Vogue Italia Franca Sozzani mentre la performance si terrà il 7 giugno alle ore 19 presso la galleria Lia Rumma in via Stilicone 19 a Milano. La performance sarà fotografata e le fotografie, in serie limitata, saranno vendute nelle gallerie d'arte. La partecipazione alla performance non sarà retribuita"
Non retribuita? Ho letto bene? E' sbalorditivo che le modelle non vengano pagate pur essendo protagoniste di un'operazione commerciale imponente. Ma non è sfruttamento questo? E da parte di donne (potentissime) nei confronti di donne deboli, indifese o sfrontate, coraggiose, incoscienti, un pò esibizioniste e sognatrici? E nessuno dice niente? Non vedo comizi, palchi, piazze piene, manifestazioni, non sento slogan, non leggo interviste. Insomma, per questa volta si sorvola, non ci si indigna. Questo è sfruttamento giusto. Sbalorditivo, perchè in altre occasioni per uomini generosi e un pò idioti e per donne consenzienti e ben retribuite si è fatto il diavolo a quattro. Sono perplesso. Questo femminismo quand'è che funziona? E non è che è diventato una lobby potentissima anche lui, il femminismo? Una lobby che interviene solo quando gli conviene? Spiegatemelo.
Intendiamoci, le ragazze sono libere di posare nude, nessuno le costringe, questo è chiaro. Ma che una super coalizione miliardaria non offra una pur minima ricompensa a queste donne mi sembra una spilorceria esibita, snob e plateale. Come a dire: "Noi siamo l'elite e vi ammettiamo per un istante. Ciò vi basti."
L'enorme montatura pubblicitaria ed il tentativo, tra l'altro riuscito, di storicizzare l'evento grazie alla acritica collaborazione degli organi di informazione (tutti), si palesa quando la stampa italiana, cartacea e online, sfiorando il ridicolo annuncia con enfasi manco fosse l'incontro di Teano: "Vittorio Sgarbi si reca in visita da Vanessa Beecroft a Carrara. Nel tardo pomeriggio di sabato il critico è arrivato in città per prendere visione delle opere della famosa artista genovese che da anni risiede a New York e ad Hollywood " (se vivesse a Tor Pagnotta lo scriverebbero?). Non dimentichiamo poi che "Nella mattinata il sindaco di Carrara Angelo Zubbani aveva nominato Vanessa Beecroft “ambasciatrice” di Carrara nel mondo". Ci avvertono poi che "a causa delle dimensioni ridotte dello spazio che ospiterà l’evento, l’ingresso dei visitatori sarà consentito a piccoli gruppi, in ordine di arrivo. La XIV Biennale Internazionale di Scultura è organizzata dal Comune di Carrara, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Carrara e dalla Cassa di Risparmio di Carrara, col sostegno della Regione Toscana e della Provincia di Massa e Carrara ed in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti, l’Apt di Massa-Carrara, il gruppo Internazionale Marmi Macchine e l’associazione Amici dell’Accademia di Belle Arti di Carrara". Caspita che roba! Quando io, per sostenere i costi di una mia mostra, ho cercato uno sponsor non c'è stato nulla da fare. Neanche il Sex Shop sotto casa mi ha degnato di attenzione e i gestori mi hanno detto sbuffando: "Soldi per una mostra? Non se ne parla!"
Ad ogni modo: la performance del 2010 di Vanessa Beecroft è richiesta dai musei e dalle gallerie di tutto il mondo che se l'assicurano pagando cifre ragguardevoli. Le fotografie scattate durante l'evento hanno invaso il mercato dell'arte e sono vendute a prezzi molto alti.
La mia performance del 2007 non esiste: cancellata dalla memoria collettiva. Nessuno, dico: NESSUNO, se l'è filata. La foto che ho scattato, unica testimonianza visiva di quell'evento, non è visionabile se non sul mio sito.
Luna Park
C'è poco da fare, a buttarla in caciara spesso si vince. Nel 2004 un celebre e supersponsorizzato artista italiano ha realizzato un'installazione che ha suscitato un certo clamore nel mondo. L'opera, prodotta e commissionata da una nota fondazione e presentata come "l'ultima provocazione" del suddetto artista, consisteva in tre pupazzi-bambini impiccati ad un albero in una piazza di Milano: "Un racconto disincantato e un'indagine sui contrasti della contemporaneità, ma anche una riflessione sul ruolo dell'artista, chiamato in ogni occasione a mettere in scena le proprie visioni e paure". "L'opera rappresenta l'icona di tutti i bambini avviliti, offesi, oppressi, nel privato, ma non solo, anche nella realtà storica". Un passante, offeso e inferocito, si è arrampicato sull'albero e, nel tentativo in parte riuscito di rimuovere i pupazzi è caduto dall'alto ferendosi. La notizia ha fatto il giro del mondo, la foto dei bambini impiccati è stata pubblicata su quotidiani e settimanali, i telegiornali delle principali reti, a loro volta, hanno dato notevole risalto all'avvenimento milanese. La manovra è perfettamente riuscita: le quotazioni già altissime dell'artista, ottimo pubblicitario di se stesso, sono salite alle stelle. La protesta solitaria e anche coraggiosa del cittadino che si è avventurato sull'albero ha involontariamente amplificato il caso. Fin qui la storia ufficiale ma c'è un antefatto e questo antefatto mi riguarda.
Nel 1993 ho realizzato un'installazione che è vissuta giusto il tempo di essere fotografata. La foto rappresenta una forca a cui è stato appeso o per meglio dire impiccato un paio di scarpine da neonato. L'immagine, a detta di qualcuno laconica e terrificante, per circa vent'anni anni è stata da me proposta in giro per il mondo. Niente da fare: critici d'arte, galleristi e pubblicitari hanno ostentato indifferenza. Mentre l'installazione del famoso e iperprotetto mio coetaneo, caciarona e in stile luna park, è diventata celebre in poche ore e forse passerà alla storia. La mia opera, di molto precedente e similissima nei contenuti e in parte anche nella forma è rimasta top secret. Ora, dato che qualcuno ha trovato delle analogie tra le mie cose e quelle del celebre e discusso artista ho deciso di scrivere il qui presente paragrafo, così, giusto per rimettere un pò le cose a posto. Da eterno perdente quale sono non ho voce in capitolo perchè la storia, si sa, è scritta dai vincitori. L'unico posto dove posso dire la mia è questo piccolo sito che è anche l'unico luogo al mondo dove è possibile vedere le mie cose.
Nel 1993 ho realizzato un'installazione che è vissuta giusto il tempo di essere fotografata. La foto rappresenta una forca a cui è stato appeso o per meglio dire impiccato un paio di scarpine da neonato. L'immagine, a detta di qualcuno laconica e terrificante, per circa vent'anni anni è stata da me proposta in giro per il mondo. Niente da fare: critici d'arte, galleristi e pubblicitari hanno ostentato indifferenza. Mentre l'installazione del famoso e iperprotetto mio coetaneo, caciarona e in stile luna park, è diventata celebre in poche ore e forse passerà alla storia. La mia opera, di molto precedente e similissima nei contenuti e in parte anche nella forma è rimasta top secret. Ora, dato che qualcuno ha trovato delle analogie tra le mie cose e quelle del celebre e discusso artista ho deciso di scrivere il qui presente paragrafo, così, giusto per rimettere un pò le cose a posto. Da eterno perdente quale sono non ho voce in capitolo perchè la storia, si sa, è scritta dai vincitori. L'unico posto dove posso dire la mia è questo piccolo sito che è anche l'unico luogo al mondo dove è possibile vedere le mie cose.
Segreteria del personale
All'attenzione dell' I.S.S. "Caravaggio" di Roma.
Oggetto: Ritiro certificato all'Ufficio Personale.
Venerdi 19 Aprile è successo un fatto veramente increscioso, incredibile.
Sono stato convocato dalla segreteria del personale per ritirare un documento e i due funzionari hanno criticato la mia scarsa padronanza per quel che riguarda carte e burocrazia. Con sincerità ho ammesso le mie colpe e mi sono scusato più volte. Ho fatto presente ai due che questo è per me il primo anno di insegnamento e che quindi, con grande sforzo, sto imparando ad orientarmi nella burocrazia scolastica tra carte, moduli e compilazioni: faccio del mio meglio e a volte mi capita di sbagliare o di dimenticare qualcosa, può succedere. Ho confidenzialmente rivelato di soffrire di una forma di dislessia discalculica che certo non mi aiuta, e spesso, ho aggiunto con sincerità, mi faccio aiutare da mia madre nella compilazione di moduli e carte varie. Per di più, ho spiegato, è un periodo per me non facile visto che le precarie condizioni di salute mi costringono a continue visite e ricoveri in ospedale (subirò a breve un'operazione chiamata cardioversione elettrica). Ma non mi ascoltava nessuno: i due impiegati, coalizzati, invece di mostrare gentilezza e solidarietà, hanno iniziato a dileggiarmi. Ho mantenuto la calma ed il sorriso mentre i due con inspiegabile rabbia, immotivato rancore ed un palese disprezzo nei miei confronti hanno continuato ad inveire sarcasticamente con incredibili battute come: "Guardi, a noi dei suoi problemi personali non ce ne frega niente!!". Oppure: "Sua madre, invece di aiutarla adesso avrebbe dovuto insegnarle a fare la cacca da piccolo!!". Oppure: "Non ci pagano per seguire lei e tutti i casi disperati che ci si presentano". Alla fine, come se non bastasse, uno dei due è arrivato ad offendere profondamente la mia dignità di uomo e di insegnante innamorato del proprio mestiere. Ha pronunciato, con inusitata e gratuita cattiveria la seguente, terribile frase: "Pensa 'sti poveri allievi che si ritrovano uno come questo come insegnante, poveracci!"
Pur incredulo e profondamente amareggiato ho protestato, come mio solito con calma ed educazione, e ho chiesto da dove provenisse tutto questo astio e quest'assoluta mancanza di rispetto nei confronti della mia persona. Ho fatto notare che mai mi sarei aspettato una reazione così spropositata. Ho chiesto se davvero aiutare un insegnante in difficoltà rappresenti per loro una così grave umiliazione. E, soprattutto, ho sottolineato che una persona che non mi conosce e non sa niente di me non può permettersi, mai e poi mai, di accusarmi di essere un pessimo insegnante. Vada a chiederlo ai miei allievi, e saprà, con esattezza, cosa pensano di me.
I due, non paghi, hanno continuato ad inveire mentre io, sommessamente, salutavo e mi incamminavo verso l'uscita.
In quasi 53 anni di vita pensavo di aver visto e sentito di tutto. Mi sbagliavo.
Per difendere la mia rispettabilità e far si che episodi del genere non si ripetano mai più, nè con me nè con altri insegnanti, sono in procinto di rivolgermi prima ad un sindacato e poi ad un avvocato.
Distinti saluti
In fede
David D'amore
p.s.
Il pubblico ufficiale che mi ha accusato (chiamandomi "questo") di essere un pericolo per i miei allievi, in un secondo momento, capita la gravità della sua affermazione, ha confusamente negato, con evidente codardia, di aver pronunciato la suddetta frase.
I miei disegni
I miei disegni, dove li metti li metti, non c’entrano mai niente: incollocabili e sempre fuori posto, troppo imbarazzanti per trovare spazio sulle pareti di una galleria, eccessivi, diretti, e senza compromessi formali, hanno attraversato con continuità gli anni '60, gli anni '70, gli ottanta, i novanta, fino ad oggi, senza trovare mai il benchè minimo consenso. Mai legittimati e guardati ora con sospetto ora con insofferenza questi disegni mantengono inalterata nel tempo la propria ambigua vitalità: da una parte si offrono sguaiati, rumorosi e irrefrenabili, dall’altra, dosati e laconici si rivelano con solennità nel loro severo bianco e nero. Da sempre orgogliosamente figurativi, i miei disegni sono stati spesso criticati proprio dalle vestali dell’arte figurativa; dimostrazione pratica di come questi lavori tendano a spiazzare davvero tutti. In pochi hanno apprezzato i miei disegni: qualche amico, due o tre parenti. Critici e galleristi si sono debitamente tenuti alla larga. Perché? Sinceramente non lo so, né mi avventuro in acrobatiche analisi del fenomeno. Un mio amico ha azzardato: “David, mettiti nei loro panni: come si fa a prendere in considerazione un disegno raffigurante una donna barbuta che, mentre frigge un uovo nel tegame, si morde una spalla?” Sempre osteggiati e, secondo alcuni, pervasi da eccessive dosi di “visionarietà da peyote” questi lavori si distinguono invece per una totale assenza di tirchieria immaginativa: spendono da ricchi.
Quando i tuoi disegni vengono ignorati per una vita intera il dolore quotidiano, acuto e perforante, non si attenua mai. Ma ci si abitua, sembra impossibile, ci si abitua. E si impara a convivere con la rassegnazione. Anche se nel profondo ti ribelli e continui a sperare che un giorno qualcuno esca dal letargo e dichiari al mondo che i tuoi disegni sono degni di far parte della temperie culturale, possano finalmente essere resi di dominio pubblico ed essere amati o odiati, ammirati o derisi, comunque discussi. Ma se questo dovesse accadere sai anche che non saresti in grado di gestire l’improvvisa notorietà: saresti stupito e ti sentiresti un usurpatore, abituato come sei alla più totale assenza di attenzione.
Sei vivo, respiri, esisti, e i disegni sono la testimonianza più diretta del tuo passaggio sulla terra e se un giorno (e sarà comunque troppo tardi) dovessero essere sdoganati il loro presente sarà ormai passato.
I miei disegni ridono, piangono senza vergogna, gridano, scherzano, soffrono, giocano, parlano, a volte tacciono: i miei disegni sono vivi.
Quando i tuoi disegni vengono ignorati per una vita intera il dolore quotidiano, acuto e perforante, non si attenua mai. Ma ci si abitua, sembra impossibile, ci si abitua. E si impara a convivere con la rassegnazione. Anche se nel profondo ti ribelli e continui a sperare che un giorno qualcuno esca dal letargo e dichiari al mondo che i tuoi disegni sono degni di far parte della temperie culturale, possano finalmente essere resi di dominio pubblico ed essere amati o odiati, ammirati o derisi, comunque discussi. Ma se questo dovesse accadere sai anche che non saresti in grado di gestire l’improvvisa notorietà: saresti stupito e ti sentiresti un usurpatore, abituato come sei alla più totale assenza di attenzione.
Sei vivo, respiri, esisti, e i disegni sono la testimonianza più diretta del tuo passaggio sulla terra e se un giorno (e sarà comunque troppo tardi) dovessero essere sdoganati il loro presente sarà ormai passato.
I miei disegni ridono, piangono senza vergogna, gridano, scherzano, soffrono, giocano, parlano, a volte tacciono: i miei disegni sono vivi.
Mio padre
Su Wikipedia mio padre non è menzionato. Sulla pagina dedicata alla sua città natale, alla voce Persone legate ad Avellino niente da fare, il suo nome non è nell'elenco. Tra le personalità che hanno resa grande Avellino sono menzionati rapper, nuotatori, politici, calciatori, pornostar, motociclisti. Mio padre non c'è. I libri di mio padre in libreria non si trovano. E nemmeno in biblioteca: in quelle comunali niente, in quelle statali niente. Sulle bancarelle dell'usato i romanzi di mio padre non ci sono. Nelle biblioteche dei circoli culturali i suoi libri non sono presenti. Ma dove sono questi volumi? Che fine hanno fatto? Possibile che siano andati al macero? Forse si, ma non tutti. Alcuni, per fortuna, sono qui, in casa, custoditi nell'armadio dell'ingresso. E, ogni tanto, ne regalo uno a chi, incuriosito, mi chiede: "Tuo padre era uno scrittore? Ma dai, veramente? Si può leggere qualcosa?".
Scrivo queste due righe per ricordare mio padre, non per pubblicizzarlo; lui, ora, dove sta, non ha bisogno di pubblicità. Mi piacerebbe però che mio padre, lo scrittore, venisse riscoperto, ristampato e riletto; sarei felice se un sincero, doveroso e puntuale revisionismo culturale facesse in modo che autori come lui, sottovalutati in vita e dimenticati da morti possano essere discussi e rivalutati trovando il proprio posto nella storia della letteratura italiana e non solo.
Mio padre ha finito i suoi giorni in totale isolamento, dimenticato da tutti. E' morto in un letto d'ospedale; accanto a lui, nella stanza, solo moglie e figli. Fino all'ultimo non si è lamentato del proprio insuccesso letterario, non ha mai recriminato. A volte, questo si, garbatamente esprimeva il proprio rammarico. Ma ha sempre messo la famiglia davanti a tutto: anche se scriveva romanzi, racconti e opere teatrali, e tra mille difficoltà si batteva per pubblicare questi scritti, sua moglie e i suoi tre figli venivano al primo posto. A volte la sera, a tavola, dopo aver cenato, in anteprima assoluta ci leggeva con entusiasmo i brani che aveva appena finito di scrivere: erano bei momenti quelli in cui ascoltavamo dalla sua voce le pagine appena scritte. Poi, una volta finito di scrivere il libro, mia madre, sotto dettatura, lo batteva a macchina. Mio padre ha avuto, questo è vero, una piccola, lieve, effimera e circoscritta notorietà e un ristretto nucleo di lettori affezionati e appassionati. E alcuni critici, tra i più severi e qualificati, si sono interessati ai suoi scritti, anche in modo entusiastico. Ma tutto è finito lì, non c'è stato un seguito. Era già non più giovane quando rilesse il proprio ultimo libro, pubblicato da una nota casa editrice. Non convinto appieno, con coraggio, umiltà e grande onestà volle riscriverlo. Faticosamente, dolorosamente, gioiosamente, riscrisse quel libro che poi, ovviamente, nessun editore volle pubblicare. Con tutti i giovani scrittori rampanti, salottieri e agguerriti in circolazione, chi può essere interessato ad un vecchio autore dimenticato?
Gino de Sanctis - Il Messaggero, 1970.
Giuseppe D'Amore salta fuori allo scoperto con la sua opera prima All Right, un racconto che si può leggere in un paio d'ore e si potrebbe rileggere attentamente per una settimana. Sono cento pagine sconcertanti: ne vorresti sapere di più sull'autore. Sono pagine traboccanti di immagini, di metafore, di impasti verbali, vere kennigar islandesi. Dove ha imparato tanto artificio? D'Amore ci ha dato brani felicissimi. Ci ha dato anche una teoria del narrare, teoria discutibile ma fascinosa. "Quando sostituisci un personaggio con la sua altezza, con il colore dei suoi occhi, tu diventi un impostore: un personaggio ha la faccia delle parole che dice, la statura degli atti che compie, gli occhi hanno il colore dei suoi pensieri": D'Amore s'è attenuto a questo canone, e con eccezionali risultati.
Walter Mauro - Il Mattino, 1977
Già il titolo, Gli scampati, lascia intendere certe tonalità e anche talune intuizioni che la trama molto rigorosa e simbolica si preoccupa poi di sviluppare. Romanzo tutto giocato su un linguaggio molto nervoso ed essenziale, in cui nulla viene concesso alla liricità o all'afflato. Gli scampati ha i suoi pregi più rilevanti nella consistenza dell'impianto narrativo e specialmente nella facoltà positiva dell'autore di costruire una storia apparentemente frammentaria per certe diacronie del tempo, ma in realtà resa unitaria e compatta dalla sintonia delle percezioni e dalla pungente sostanzialità dell'enigma. Per questa ragione, per recuperare cioè un margine ancora più concreto di credibilità, il romanzo è costruito prevalentemente su attività dialogiche, che consentono alla vicenda stessa di dipanarsi senza bisogno di dover ricorrere al raccordo dei brani narrativi, normale e consueta sutura nel gioco dei ripiani. Su tale mordente intermittenza linguistica e strutturale, la trama filtra e deduce senza che l'autore debba necessariamente intervenire, mentre cresce il senso della drammaticità delle cose e soprattutto si ingigantisce paradossalmente l'inutilità degli sforzi da parte di chi è votato alla sopravvivenza passiva. I continui flash sulla base di lancio e sull'immane lavorio di preparazione dell'impresa fanno così da contrappunto alla tragedia di un passato ancora tragicamente prossimo, popolato di vittime che ancora non hanno esaurito la quarantena e di tiranni che non hanno finito di pagare e anzi paiono poter utilizzare sinistramente l'invito a ricominciare.
Gennaro Malgieri - Il Secolo, 1980
D'Amore, proponendoci la sua ultima fatica, Tornare in Italia, null'altro ha voluto fare se non un'opera di documentazione intima, personalissima, spirituale, se si può dire ancora. Lo scrittore scarnifica se stesso fino a toccare le corde della sua anima e mettere a nudo attraverso il personaggio chiave del romanzo nessun altro se non se stesso, con la propria consapevolezza di uomo solo, con la dignità orgogliosa di appartenere ad un mondo che per quanto lo si cerchi di fuggire affiora comunque e sempre dai più riposti anditi della memoria. D'Amore, da romanziere di razza, da autentico amatore della scrittura, che nulla concede agli sbavi stilistici oggi tanto di moda, questo vuole dire, riuscendoci, con il suo libro che si impone con la forza dell'autenticità ad onta della pura e semplice invenzione che in alcune pagine sommerge il dato intimistico di fondo, in altre lo esalta esplicandolo, immettendolo alla comprensione del lettore. Ma quale autenticità, ci si potrà chiedere? Semplice, quella del protagonista, Nicola Reisi, cantante nei locali di Amsterdam, esule consapevole, fuggiasco in cerca comunque delle proprie radici, commosso ascoltatore del rimpianto che lo chiama alle proprie infantili illusioni, alle esperienze di adolescente avventuroso, alle amarezze di uomo vissuto ma non trascorso. Con il suo Tornare in Italia, che è poi il tornare in nessun luogo se non in se stessi, D'Amore si conferma scrittore di indubbio valore, le cui doti già avemmo modo di apprezzare leggendo All right e Gli scampati.
Diego Fabbri - Rivista il Dramma - Ottobre/Novembre 1976
Ho voltato e rivoltato in questi mesi questa Guerra in tre atti di D'Amore per saggiarne criticamente il timbro e il valore e restare il più possibile esente dalle tentazioni della indulgenza e della severità eccessive. Quale strada ha scelto D'Amore? Quella di un'invenzione di base molto originale sviluppata però in un ambiente e con personaggi certamente consanguinei con l'autore. Ed è certo da questo connubio che la commedia trae il suo carattere insolito, il suo gusto e il suo sapore, il suo continuo sviluppo e il suo crescente interesse. La guerra è tema così universale e talmente incombente che la nostra attenzione è subito presa: per la tensione che produce al suo annuncio, ma anche per la curiosità di sentire quel che di nuovo potrà essere ancora detto. E la novità dei tre momenti (l'inizio, lo svolgimento e la soluzione) D'Amore la trova con piglio davvero personale nella vita di un paese che è costretto a vivere la sua parte di guerra. Certo i morti sono sempre morti, e così i feriti e le distruzioni e le sofferenze, ma c'è, direi, una qualificazione e un'identità differenti per i vari luoghi e le diverse genti. Ed è proprio in questa diversa qualificazione e identità che si esprime la franca originalità di D'Amore che fa diventare personale la guerra, la fa diventare la sua guerra, la guerra del suo paese, della sua gente. E se mi chiedessero se questa Guerra in tre atti merita il rischio di essere portata in palcoscenico, risponderei senza esitazione e in buonissima fede: certo, è uno spettacolo che s'ha da fare.
Etichette
Quello che segue è un elenco incompleto e quindi parziale delle etichette discografiche che nel corso di un quarantènnio hanno reputato non interessante la mia musica.
Alabianca
Go down Records
Urtovox
La Tempesta
Toast Records
22R Edizioni Musicali
42 Records
Areasonica Records
La Fabbrica
Irma Records
Ghost Records
Garrincha Dischi
Foolica
Cinedelic Records
Bomba Dischi
Carosello Records
Macaco Records
Miraloop
Maninalto!
Reincanto Dischi
Relief Records
Seahorse
Trovarobato
New Model Label
Reincanto Dischi
Spettro Records
Suono Rec
Tafuzzy Records
Tosky Records
Unhip Records
Tre Lune Records (Roma)
Compagnia Nuove Indye
Folk Club Ethnosuoni
Officine Meccaniche
Mescal
Lilium Produzioni
Cavelon Records
Suburban Sky
Niegazowana Records
Hydra Music
Woodwarm
from Scratch Records
Soffici Dischi
Labelpot
Freak house
Alka Record
Norule Label
Urtovox
This is Core
Ark Records
MP Records
Lilium Produzioni
Sub Records
Sunflower Music Lab
Fridge Records
Afe Records
Soviet Studio
Garage Records
Freestyle Records - London
In the bottle records
La valigetta
Macina Dischi
Nano Records
Record Kicks
Right Tempo
Schema Records
Shyre
Pippola Records
INRI
Tannen Records
Leave Music
Picicca Records
Marte Label
Black Candy Records
to lose la track
Via Audio Records
Viceversa Records
Stop Records
Diavoletto
Malintenti
Wallace Records
Dischi Bervisti
v4v Records
La Fame Dischi
Cabezon Records
Southern Records - London
Sub Pop - USA
Sub Terra
ZAHAR Records
Mara- Cash - RecordIkebana Records
2419 Records - Utrecht
Slumberland Records - California
Bluewater Music - Nashville
Yorpikus - Roma
Street Label Records
Lostunes Records
Ikebana Records
Storie di note
EKO
Mute Records
Velnet
S.H.A.D.O. Records
Virgin - Francia
Pearl Music (Massa)
Universal Music (Milano)
Load Up Records
Santeria
Ouzel Records (Roma)
Red House Recordings
Audioglobe
Fermentivivi (Milano)
Red Sun (Olanda)
Loretta Records
Casarecords (UK)
Pickled Egg (UK)
Under my Bed (Milano)
Shake Records
Touch and go Records
Rough trade Records (UK)
Fandango
Homesleep Records
Fat Possum
Mescal
Ethno World
Universal Music
Frivola Records
Barlamuerte
Lizard Records
Fader
Misty Lane
No=fi recordings - Roma
Geograph Records - Roma
Lapidarie incisioni - Roma
Lost Tunes - Roma
Eclectic Production - Roma
Lady Sometimes Records - Roma
Le Narcisse - Roma
Sub Sound records - Roma
Filibusta Records - Roma
Black Sam Records - Roma
19’ 40”
Disasters by Choice.
Radici Music Records.
Kiy Records.
Stato Elettrico Netlabel
Lady Sometimes Records
FioriRari
Unhip Records
Cinico Disincanto
WWNBB collective
Do-it-yourself
MiaCameretta Records
Cabezon Records
Right Tempo Records
Macina Dischi
Recordkicks
Wynona Records
CNI Music
Mizmaze Records
Wildlover Records
Cooperative Music
Stop Records
Only Fucking Noise
Mashhh!
Bassa Fedeltà
Maciste Dischi
Ishtar Record Label
Bloos Records
Vasto Records - Palermo
Enzones - Palermo
Miraloop
Aldebaran Records
New Monkey Press Records
Factum Est
Area Pirata - Pisa
Barriera Corallina - Pisa
Boomerang Records - Livorno
Raving Records - Livorno
SoundSonica Records - Carrara
Millesei Dischi
Luminol Records
Amiata Records
Fiorirari
Area Pirata
Aldebaran Records